La cuccagna delle Regioni a statuto speciale

Egregio dottor Granzotto, alcune Regioni a statuto speciale hanno il privilegio di ottenere ritorni economici dallo Stato superiori al loro Pil che pure trattengono integralmente. Condizioni invidiabili concesse da oltre mezzo secolo, in tempi di ben altra e trascurata coscienza economica di amministrazione pubblica di uno Stato il cui potere otteneva in cambio amicizia dagli enti locali profumatamente sorretti. Dall’avvento dell’euro successivo alla frenata economica mondiale produttiva dopo la tragedia di New York, i conti pubblici italiani hanno ricevuto contraccolpi preoccupanti che vengono addebitati a un governo che non pare abbia incluso nei tagli ai centri periferici dette Regioni autonome. Ora si pone una domanda: dovendo fare sacrifici per le ristrettezze correnti, quali tagli sono stati posti agli stanziamenti a tali Regioni che si vogliono considerare italiane? Dobbiamo forse pensare che i loro abitanti sono incapaci di pur minime rinunce? Ritengono che queste sovvenzioni siano loro dovute come se la situazione economica non fosse di loro interesse?


Le Regioni autonome - Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige (o meglio, come recita la Costituzione italiana, dicesi italiana: Trentino Südtirol), Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta (o, come recita la Costituzione italiana, Valle d’Aosta-Vallée d’Aoste) - non amano che si parli di loro. Cioè, si può e anzi si deve parlare delle loro mele, delle loro spiagge, del loro Speck, dei loro monti, dei loro vini e delle loro bellezze in generale. Ma guai a sfruculiare sullo Statuto speciale. Guai a ricordare che grazie a quello statuto navigano nell’oro anche quando altri tirano la cinghia e che godono, facendoli poi godere ai rispettivi abitanti, di privilegi a dir poco imbarazzanti. Sorte per decisione dei Padri costituenti (che fecero proprio, nel caso della Val d’Aosta e della Sicilia, il deliberato di Umberto di Savoia, Luogotenente del Regno) forse, ripeto, forse, avevano ragione d’essere negli anni difficili del primo dopoguerra. Oggi possono essere definite, se si è d’animo caritatevole, anacronistiche. Qualcuno ha abbastanza bronzo sulla faccia per sostenere che la condizione economica dei valdostani è ancora così precaria da giustificare i mutui agevolati per la casa o il «bonus» di 900 litri di benzina o gasolio? O il rimborso totale dei libri di testo, compresi quelli universitari anche se in Val d’Aosta non ci sono università? O che le conseguenze della guerra siano ancora così drammatiche da motivare i contributi per il 70 per cento a fondo perduto agli imprenditori altoatesini, quando le norme comunitarie fissano quell’incentivo al 15 per cento? O che dopo più di mezzo secolo ai dipendenti debba ancora esser versata, in moneta sonante, l’«indennità di bilinguismo»?
La cuccagna delle Regioni autonome (e delle Province autonome: Trento e Bolzano) trae origine da una norma che si rifà agli antichi diritti feudali: su mille euro di tasse versate all’erario, ne tornano 600 in Friuli Venezia Giulia, 700 in Sardegna, 900 in Trentino e Valle d’Aosta mentre la Sicilia fa l’en plein: 1.000. Detta in altro modo, su 5.000 euro di tributi provenienti da quei sangiaccati, lo Stato, colui che manda avanti la baracca, la giustizia, la sanità, i trasporti, l’istruzione, la tutela dell’ordine pubblico eccetera, ne incamera solo 900. Novecento su cinquemila. Eppure, non ostante il cospicuo gruzzolo (aumentato a dismisura dai contributi comunitari) la Sardegna non ha un’autostrada e il flusso dell’acqua nelle abitazioni cessa alle 14 d’ogni giorno che Dio manda in terra. Per non parlare della Sicilia, sempre alla canna del gas, che dilapida il 75 per cento delle smisurate risorse finanziarie per mantenere (alla grande: gli uscieri della Regione vanno in pensione con 2.500 euro netti al mese) 16.000 dipendenti e 80.

000 precari alimentando il più gigantesco «postificio» europeo. Altro che rinunce, caro Paolantonio: cosa ci vuole a fare cessare questo scandalo legittimato da una Costituzione che sarà anche democratica e antifascista, nata dalla Resistenza e compagnia bella, ma scandalo rimane?

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