Politica

Cuffaro: le tasse delle aziende restino in Sicilia

Il premier e il ministro Maroni d’accordo: battaglia sacrosanta, lo prevede lo Statuto

Marianna Bartoccelli

da Roma

Con le dimissioni in tasca e la minaccia di mandare i siciliani ad elezioni regionali anticipate rispetto a quelle nazionali, il presidente Totò Cuffaro si è incontrato con il premier con una richiesta precisa da inserire nella finanziaria: che vengano finalmente rispettati gli articoli 37 e 38 dello Statuto siciliano che sanciscono la competenza della Regione sull’imposta relativa alle imprese che hanno la sede centrale fuori dalla Sicilia ma stabilimenti sull’isola. Non è soltanto un riconoscimento giuridico ma significa fare arrivare nelle casse siciliane più di 900 milioni di euro (1.800 miliardi di lire).
A tanto ammontano le tasse pagate soprattutto dagli stabilimenti petroliferi di Siracusa, Augusta e Milazzo, ma anche da tante altre aziende come la Sicilfiat. Somme che sino ad oggi lo Stato non ha riconosciuto alla Sicilia. Dopo un primo no da parte del ministro Tremonti, durante l’incontro di ieri Totò Cuffaro ha strappato il sì del capo di governo, che ha riconosciuto il diritto al rispetto dello Statuto autonomo. Pieno consenso alle richieste di Cuffaro arriva anche da un alleato impensabile, il ministro leghista Roberto Maroni. «Il contenzioso fiscale aperto da Cuffaro è sacrosanto - spiega Maroni- e le sue richieste trovano conforto in uno Statuto approvato prima della Costituzione». Per il ministro del Welfare «la battaglia siciliana può dare una forte spinta alla riforma federalista».
Due ore di riunione alla quale ha partecipato il gotha dei deputati siciliani, i ministri Enrico La Loggia e Gianfranco Miccichè, il coordinatore siciliano Angelino Alfano, Carlo Vizzini e il capogruppo al Senato Renato Schifani. Dall’altro lato del tavolo il premier Berlusconi e il viceministro Giuseppe Vegas. Mancava il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti assente, pare, per motivi di salute. Il premier ha alla fine garantito che entro il prossimo Consiglio dei ministri saranno pronte le soluzioni per potere così applicare lo Statuto.
Soddisfatto dell’incontro, il presidente Cuffaro torna in Sicilia comunque pronto a dimettersi se entro venerdì «non verrà trovata una conclusione operativa». Un vero e proprio ultimatum quindi che potrebbe portare la Sicilia ad elezioni già alla fine di gennaio. Da giorni il presidente Cuffaro insiste su questa ipotesi, trovando in questo l’accordo del suo alleato di fatto, Raffaele Lombardo, l’eurodeputato catanese che è uscito dall’Udc in polemica con Marco Follini e ha fondato il partito autonomista Mpa. Un partito che continua a raccogliere fuoriusciti dall’Udc e da Forza Italia. Cuffaro infatti è convinto che le elezioni anticipate garantirebbero, grazie anche a Lombardo, una buona tenuta in Sicilia e potrebbero fare da traino alle elezioni politiche. Ipotesi non condivisa dai dirigenti di Forza Italia che invece sicuri che comunque la Sicilia darà risultati in controtendenza preferiscono prima andare alle nazionali e poi alle regionali non prima di maggio. Polemici sull’incontro romano il gruppo Ds dell’assemblea regionale che considerano l'incontro «l'ennesima puntata di una sceneggiata che offende i siciliani e mortifica le istituzioni» e accusano Cuffaro di non avere posto la questione in tempi diversi. Intanto al Parlamento siciliano, per l’ennesima volta, i lavori d’aula non sono andati avanti per mancanza del numero legale.

Su 90 deputati(così vengono chiamati dallo Statuto autonomo siciliano i consiglieri regionali) infatti erano presenti soltanto in 36.

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