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Cuffaro vittima solo del suo sistema

La Cassazione rende definitiva la condanna dell'ex governatore sicialiano per favoreggiamento alla mafia. E lui va a Rebibbia

Cuffaro vittima solo del suo sistema

Chi sia capitato almeno una volta nella vita a tiro di stretta di mano dell’ex governatore di Sicilia Salvatore Cuffaro lo sa: impossibile incontrarlo ed evitare quel doppio bacio sulla guancia che, non a caso, gli ha regalato il nomignolo di Totò vasa vasa, bacia bacia. Perché il «vasa vasa» di Totò al potenziale amico inteso come futuro elettore votante con relativa famiglia, non è mai stato soltanto un vezzo. È stato la base di un sistema, il cuffarismo. Quello stesso cuffarismo che adesso, a Totò vasa vasa, sta costando la galera.

Non hanno condannato solo l’uomo i giudici, quelli di Palermo prima e quelli della Cassazione ieri, infliggendo sette anni all’ex governatore. La condanna è soprattutto al modo di fare politica di Totò vasa vasa, fatto di contatto diretto con i singoli, di ascolto dei problemi di ciascuno, di intervento diretto. È stato questo il segreto che sin da giovanissimo ha permesso a Cuffaro di diventare una formidabile macchina da guerra fabbrica-voti. È questo il motivo che, consapevolmente secondo i giudici, in perfetta buona fede ha sempre sostenuto lui, avrebbe portato Cuffaro in contatto con personaggi in odor di mafia. È questo il «peccato originale» che oggi, lui solo, è chiamato a scontare.

Lui solo la vittima. Ma il cuffarismo condannato per sentenza è rappresentato solo da Totò vasa vasa? È solo lui, l’ex governatore costretto alle dimissioni nel 2008, dopo la sentenza di primo grado che lo condannava a cinque anni, perché sorpreso dal fotografo con un vassoio di cannoli che sapevano di festeggiamento, «la madre» di tutti i mali di Sicilia? Via, non scherziamo. Neutralizzato politicamente, per via giudiziaria, Cuffaro, resta il cuffarismo: il sistema da lui creato, che sotto altri nomi e altre forme, vive ancora eccome. Non a caso da tutte le parti, anche dall’opposizione, sono arrivati a Cuffaro attestati di stima per come ha affrontato quest’ultimo atto, la caduta, l’onta dell’ingresso in carcere.
Stima per l’uomo, sì, ma non solo. C’è anche calcolo, tanto calcolo nelle prese di posizione, e nei silenzi dell’opposizione, sulla condanna definitiva di Cuffaro. E non senza ragione. Intanto certi giustizialisti doc come il finiano Fabio Granata con Cuffaro e il cuffarismo sono stati legati a doppio filo: Granata, che ieri non ha detto una parola (coincidenza?), è stato assessore ai Beni culturali e al Turismo di Totò vasa vasa dal 2001 al 2006. Anche i democratici non si sono affatto sbracciati nei commenti.

E non solo perché quando si chiamavano Ds hanno ben accettato Cuffaro come alleato, anzi assessore all’Agricoltura nei governi guidati da Angelo Capodicasa. No, il Pd ha motivi seri, ben più seri, per tenere la bocca più chiusa possibile sull’argomento. L’ombra di collusioni con personaggi in odor di mafia ha sfiorato anche il governatore di Sicilia in carica, Raffaele Lombardo (Mpa), ex Dc, come Cuffaro, anzi suo alter ego nella Sicilia orientale quando Totò, a occidente, era l’astro nascente in ascesa. La vicenda non si è ancora chiusa, e siccome si dà il caso che Lombardo, per virtù di ribaltone, governi la Sicilia proprio con Pd e Fli, ecco spiegata la singolare afonìa dei democratici. Hanno parlato in tre: Rita Borsellino e Enzo Bianco, entrambi dell’ala del Pd che contesta l’appoggio dei democratici al governatore indagato; e il segretario regionale del Pd Giuseppe Lupo, per dire che si è chiusa una pagina. Più prudente Lombardo, che ha fatto della lotta al cuffarismo la sua bandiera ma che ora si dice «amareggiato». Perché il cuffarismo, o lombardismo che dir si voglia, in Sicilia è vivo più che mai.

In galera è andato Cuffaro, non la sua filosofia politica.

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