"La metafora era la sua lingua universale"

L'influenza di Elliot e l'amore per i classici, anche orientali

Maria Cristina Lombardi, docente di Lingue e Letterature Nordiche all'«Orientale» di Napoli, sua traduttrice, proprio in questi giorni stava preparando un viaggio in Svezia per incontrare lui, Tomas Tranströmer, il poeta premio Nobel del 2011 ora scomparso. «Lo conobbi sul finire degli anni '80 - ricorda - all'università di Stoccolma. Gli dedicai un articolo, poi con l'editore Crocetti decidemmo di iniziare a tradurlo in italiano. Da noi era pressoché sconosciuto». È la metafora lo strumento principale dell'opera di Tranströmer, «la sua parte più innovativa e ammirata, che influenzò molto, fra gli altri, Brodskij e la Szymborska. Nei suoi versi, compresa l'ultima raccolta Il grande mistero , c'è come un dialogo fra astratto e concreto». L'universalità di Tranströmer deriva anche dalle forme in cui si esprime. «In lui c'è molto di Eliot, penso soprattutto ai Quattro quartetti - spiega Lombardi - e molto del Surrealismo, ma fu profondamente influenzato anche dalle kenningar medievali islandesi (gli piaceva imitare gli antichi scaldi) e dagli haiku giapponesi, che lesse e studiò giovanissimo. Pensi che gli haiku iniziò a scriverli quando, da psicologo, lavorava in un istituto di correzione per ragazzi. Lo affascinava il parallelo fra la rigida costrizione delle 17 sillabe e l'altrettanto rigida costrizione cui erano soggetti i suoi amici». La professoressa Lombardi sta scrivendo un libro su Tranströmer. Vi troveranno spazio le pagine del diario del poeta. E, ovviamente, il suo rapporto d'amore con la musica.

«Era pianista, e dopo l'ictus che, oltre a renderlo pressoché muto, gli aveva negato l'uso della mano destra, suonava brani per la mano sinistra, anche di compositori italiani. Amava l'Italia. Dante era fra i suoi autori preferiti. E i classici latini e greci, e i romantici tedeschi...». Sì, il mondo ha perso un grande poeta che non aveva confini, né di spazio, né di tempo.

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