Un amaro romanzo partorito nel ventre della Balena bianca

Ne "Il cielo è dei potenti" Alessandra Fiori, figlia dell’ex ministro racconta (cambiando tutti i nomi) il vischioso ma affascinante mondo della Dc

Un amaro romanzo partorito nel ventre della Balena bianca

Come fosse un sogno, ma uno di quelli che al risveglio li si confonde con la realtà. Un sogno contorto e caciarone chiamato Italia. Un sogno, spesso recitato in romanesco, in cui cambiano i nomi e non le facce, oppure il contrario. Un viaggio onirico nel ventre della Balena Bianca, una discesa nelle viscere della vecchia Dc. È questa la sensazione che si prova leggendo il romanzo di Alessandra Fiori: Il cielo è dei potenti (edizioni e/o, pagg. 294, euro 18).

La Fiori che quel mondo lo ha respirato sin da bambina - è figlia di Publio Fiori che è stato ministro, vicepresidente della Camera dei deputati e democristiano di lungo corso - riesce a restituirlo ai lettori in un'opera di fantasia dove tutto è reinventato solo allo scopo di renderlo ancora più realistico. Ecco che allora ci troviamo a rivivere le vicende di Claudio Bucci, giovane avvocato che dopo un'infanzia microborghese, sospesa tra la Capitale e Fiano Romano, decide un po' per gioco, un po' per passione e un po' per miseria di entrare nell'arena politica. Sono gli anni Sessanta, quelli dove tutto sembrava possibile. E il sogno testardo di questo ragazzo, il cui padre difendeva in tribunale i contadini facendosi pagare a caciotte, finisce per avverarsi. Si parte alla buona con le tessere scambiate come figurine, e le urne rubate per cambiare i voti alle elezioni nelle sezioni di partito, per arrivare alle elezioni vere, con tutta la famiglia rinchiusa in uno scantinato a preparare 70mila lettere con dentro i “santini” elettorali. E quando arrivano le prime cariche, a partire dall'assessorato ai lavori pubblici della capitale, ecco anche i palazzinari, le valigette di denaro, i compromessi inevitabili.

Un viaggio senza ritorno, perché «solo una cosa può essere più forte del richiamo del sesso. Non i soldi ma il potere». Così Bucci deve imparare a declinare la saggezza del principe di Machiavelli in forme nuove. Dalla «golpe e il leone» del fiorentino si passa a «Armarsi conquistare resistere. Allearsi possibilmente. E poi da capo... E se quello era il momento di mantenere la posizione per preparare una nuova conquista, allora era anche quello di farmi un nuovo ufficio». Oppure: «Il problema non è essersi resi ricattabili, ma semmai il non esserlo». E ancora: «Non importa quanto lontano senti di essere arrivato, ci sarà sempre qualcuno più forte, più in alto, più potente di te».

Mentre la corsa prosegue, attorno a Bucci compaiono tutti i grandi della politica democristiana del tempo. Ovviamente col nome cambiato. C'è il grande De Santis, vale a dire Giulio Andreotti. Uno capace di galleggiare sempre una spanna sopra tutti gli altri: «De Santis non si poteva fottere. Ci avevano provato cento volte senza risultati... Della politica, come del mondo, aveva una concezione semplice ed elitaria al tempo stesso... Alla base c'è il consenso e se la società è essenzialmente merda, per ripulire le fogne bisogna sporcarsi». E poi ci sono molti altri potenti dell'epoca scudocrociata. Dietro il tenace ex sindaco di Roma Alessandro Romano fa capolino l'ectoplasma di Amerigo Petrucci, il numero due del partito a Roma per anni; dietro Sergio Serafini detto lo “sguincio” qualcuno potrebbe rivedere Franco Evangelisti. E poi c'è un Vincenzo Bracaglia che deve molto del suo tipo umano a Vittorio Sbardella. Ma mentre il gioco del potere prosegue, la vita di Bucci si riempie di pesanti sacrifici perché «i compromessi sono la misura dell'ambizione». La vita famigliare va a rotoli e arriva il divorzio dalla bella moglie Giuliana. C'è anche l'attentato delle Br che lo gambizzano con «undici colpi di odio» e in questo il rimando al vero Fiori, che il 2 novembre 1977 venne ferito con 11 colpi dalle Br è quasi cronaca.

Poi con gli anni '90 cambia tutto, cambia la politica e un mondo, bello o brutto che fosse, muore per sempre. Prima Mani pulite, poi gli attentati ai giudici. E infine un industriale del nord diventato grande con le televisioni e che nel libro si chiama Ludovico Moroni, compare sulla scena politica: «Noi che eravamo stati così brutti, unti, grassi, con le nostre giacche a quadri e la camicia stropicciata, noi eravamo già incredibilmente lontani».

Chiudendo le pagine del libro risulta evidente che quella Balena Bianca non tornerà più, con gran dolore di chi vagheggia vecchi nuovi centri. Resta la narrazione mirabile fatta dalla Fiori: verace, a tratti cattiva, ma capace anche di cogliere i lampi di grandezza nascosti in quella politica così ruspante e figlia di un Paese che sognava, che aveva i piedi in campagna e la testa fra i grattacieli. Un Paese che comunque tra caciotte e bustarelle è comunque riuscito a dire «no» a tentazioni totalitarie con la pistola in mano e il pugno chiuso.

La Fiori, proprio perché non risparmia niente a nessuno riesce a rendere umani quei politici. Come dice il suo Bucci «in fondo ho corso parecchio, vinto abbastanza e anche quando ho perso, non si può dire che non l'abbia fatto alla grande».

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