Il filosofo e opinionista Alain Finkielkraut occuperà la poltrona numero 21 tra i 40 «immortali» dell'Academie francaise. Nulla hanno potuto le otto schede consegnate con una X all'elezione di ieri dagli altri «pari», in aperto dissenso con il suo ingresso. Ancora meno le polemiche che negli ultimi giorni hanno diviso gli intellettuali transalpini derivate dall'annuncio della sua possibile ammissione. Dimenticate le torte in faccia ricevute da alcuni studenti durante il suo discorso d'addio all'École polytechnique di Parigi dopo 26 anni di insegnamento. Tutto archiviato. Perché l'intellettuale 64enne è stato sì criticato per alcune sue posizioni avvicinabili a quelle del Front National di Marine Le Pen e per la sua personalità «troppo polemica». Ma anche elogiato come «profilo ideale» per una tale poltrona e «grande intellettuale». E al di là di tutto pesa la conta dei voti: Finkielkraut ne ha raccolti 16 su 28, e già al primo scrutinio, senza lasciare spazio agli concorrenti Gèrard de Cortanze (premio Renaudot 2002 per Assam), Alexis Antois, Yves-Denis Delaporte, Robert Spitzhacke e Athanase Vantchev de Thracy.
Famoso in Italia soprattutto per il saggio Occidente contro Occidente, il filosofo è stato ispirato da Hannah Arendt, Heidegger, Freud, Emmanuel Lèvinas e Vladimir Jankèlèvitch. Dagli anni '80 è vicino alle posizioni della destra intellettuale europea e strenuo difensore della laicità, cultura e identità francesi. Il suo saggio L'identité malheuse, caso polemico dell'autunno scorso, aveva dipinto la Francia come terra di conquista delle altre culture, quella islamica in primis, e aveva tuonato contro chi vorrebbe trasformare «il Paese in un aeroporto», ovvero non confondere chi accoglie e chi viene accolto.
Posizioni che potrebbero apparire paradossali, sostenute da un ebreo di origine polacca poi naturalizzato e figlio di un deportato sopravvissuto ad Auschwitz.
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