Il figlio, euforico perché ha trovato finalmente un editore per il suo primo libro, telefona al padre. Dall'altro capo del filo giunge un lungo silenzio, poi una parola, sussurrata: «Scusami». Il figlio, sorpreso: «Come sarebbe a dire?». E l'altro: «Non sapevo di averti dato un'infanzia così terribile da farti diventare uno scrittore».
Il nucleo di Mio padre, il pornografo, di Chris Offutt (minimum fax, pagg. 298, euro 18, traduzione di Roberto Serrai), è tutto in questa frase del padre. Perché il padre del titolo è proprio suo padre, il pornografo. Il pornografo per eccellenza, visto che di libri pornografici ne scrisse a centinaia, al ritmo di circa uno al mese, inclusi quelli che tenne nel cassetto, esclusivamente per sé, le quattromila pagine della serie a fumetti di Valkyria. Offutt padre, rivolgendosi al figlio in uno dei rarissimi momenti di intimità concessigli, non poteva che pensarla così: essere uno scrittore significa avere addosso un fardello di infelicità, da appoggiare sui fogli per avere un minimo di sollievo. Scrive infatti Chris sul finire di questo libro che vale come doppia biografia, del padre e di se stesso: «A quattordici anni, aveva iniziato a disegnare fumetti che ritraevano donne sottoposte a tormenti, prima ancora di essere esposto in qualsiasi modo a materiale feticista o alla consapevolezza del sadismo. L'impulso lo aveva semplicemente dentro; era stato sempre così. Definiva i suoi fumetti delle atrocità. La scatola chiusa dove li teneva era piena della mia vergogna e della mia cattiveria e della mia debolezza». Nove anni dopo la... prima volta con le donne di carta e inchiostro, quando nel 1957 porta all'altare Jodie McCabe, Andrew Jefferson Offutt è ancora vergine, come lei. Sono cattolicissimi e si amano come all'epoca si amavano i ragazzi e le ragazze appena fidanzati nelle colline del Kentucky: con il pensiero. Ma ancora per poco. L'anno dopo nasce Chris, seguito poi da un altro maschio e da due femmine. Sicché Andrew rompe con la Chiesa, colpevole, secondo lui, di tollerare e/o consigliare il metodo anticoncezionale soft Ogino-Knaus, che evidentemente nel suo caso non ha funzionato benissimo. Intanto, aveva già mollato anche filosoficamente gli ormeggi della religione, decidendo di diventare agnostico, non ateo, perché considerava l'ateismo un altro tipo di confessione.
Fatto trenta con moglie, figliolanza e senza più vincoli di fede, nel '70 Andrew decide di fare trentuno, e prende l'unica decisione cazzuta della sua vita: lascia il mestiere ufficiale ed economicamente fruttifero di assicuratore per diventare scrittore professionista, barricandosi nel suo studio off-limits per tutti nella casa di Haldeman. Sulla porta dell'antro del pornografo c'è un cartello: «Fabbrica di scrittura: attenzione ai participi vaganti». Lui ne esce soltanto per mangiare, vedere in tv la sua squadra del cuore di baseball, i Cincinnati Reds, spaccare un po' di legna prima dell'inverno. E per presenziare alle convention degli scrittori di fantascienza. Infatti il pornografo era anche uomo di cultura, quasi tutta fai-da-te: robotica, genetica, medicina, storia di Roma e dell'antica Grecia erano le sue passioni. Inoltre contribuì alla saga di Conan creata da Robert Ervin Howard, fra i pochissimi autori suoi contemporanei che stimava, e nella serie di comix iniziata nel '49, Cade e la pattuglia galattica, prefigura persino le e-mail, sotto forma di «telegrammi galattici», e Skype, con quelli che chiama «visifoni».
Ma sono due romanzi dei primi anni Settanta a fornirgli il lasciapassare per iscriversi alla «Science Fiction Writers of America», l'associazione-confraternita degli autori più visionari. In quella compagnia di genialoidi sbalestrati che volentieri si contamina con il fantasy e con uno stile di vita da figli dei fiori, Andrew, accompagnato dalla sua Jodie che lo asseconda in tutto, sta come un topo nel formaggio. La devozione dei lettori massaggia il suo ego sovradimensionato e, dopo mesi di isolamento e mutismo, può finalmente sfogare un talento di parlatore-intrattenitore. «Alle convention - scrive Chris - indossava un certo abito per una tavola rotonda sulla fantascienza, poi si cambiava e diventava John Cleve per andare a una festa. Alternava così spesso le targhette col nome che un fan gliene regalò una di stoffa, bella grande e fatta a mano. Ricamato da una parte c'era OFFUTT. Dall'altra CLEVE». John Cleve, infatti, è l'altro Andrew Jefferson Offutt. A conti fatti, dovremmo dire il vero Andrew Jefferson Offutt, pornografo di successo e padre fallito. John Cleve è infatti il suo pseudonimo principe, omaggio a John Cleland, l'autore del romanzo erotico Fanny Hill, uscito nel 1748, e ne ha generati altri sedici. «Non sono un sadico: ho solo tendenze sadiche. C'è una bella differenza», scrive Andrew nella lettera-testamento spedita in gran segreto a Chris, che in casa Offutt è sempre stato il vero capofamiglia. In quella lettera, Andrew dispone che sia il primogenito a occuparsi del suo lascito letterario, una tonnellata (scaffale più, scaffale meno) fra dattiloscritti e disegni. Così il 30 aprile 2013, quando Andrew muore, demolito dalla cirrosi epatica da whiskey e da brandy e da attacchi cardiaci assortiti, Chris si tuffa nelle acque torbide di un fiume di parole, tra una Wonder Sfondona e svariate Ficazzoni, tra Le bambole del bondage e Le vergini dello spazio e via pervertendo.
Chris, che da bambino compensava l'assenza del padre... leggendo un libro al giorno, «due se pioveva», nel 2013 è già, come si dice, uno scrittore affermato.
Ma affondando le mani, gli occhi e la testa in quel materiale imbarazzante (in cui, fa notare con un respiro di sollievo, non c'è la pur minima traccia di pedofilia) si sente «un burocrate del sesso» e per un po', disgustato dal leggere per ore e ore di torture, mutilazioni e accoppiamenti d'ogni specie, perde addirittura la voglia di sfiorare la sua bella moglie. Ma glielo deve, al papà pornografo. È quasi come cambiargli i pannoloni sporchi, pulendogli nel frattempo la coscienza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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