Un anno vissuto male Quelli che il «presente» è sempre una lagna

Un anno vissuto male Quelli che il «presente» è sempre una lagna

Io non credevo che esistesse qualcosa che potesse mettermi più angoscia ipnotica de L’Infedele di Gad Lerner, una trasmissione che è uno dei miei due incubi ricorrenti insieme all’essere sepolto vivo. Invece c’è: sono Andrea Bajani, Michela Murgia, Giorgio Vasta e Paolo Nori, i quali si sono messi insieme per scrivere un libro di sfigati a otto mani per raccontare il presente, infatti a scanso di equivoci si intitola Presente (Einaudi), e consisterebbe in un anno, da gennaio a dicembre, vissuto nella loro testa.
È anche scientificamente interessante perché quando si spremono le meningi ne vengono fuori dei capolavori del pensiero umano da darli ai nostri cugini scimpanzé per farli sentire orgogliosi di aver deviato dalla linea Homo Sapiens. Bajani e Vasta, per esempio, sono ossessionati da Berlusconi, ci pensano giorno e notte, se non li si legge non ci si crede. A pagina 10 Bajani si tormenta su Berlusconi perché ha detto che è meglio scoparsi le ragazze che essere gay, a pagina 13 teorizza: «Ho l’impressione che quando una persona nomina un politico per nome, chiunque egli sia, sta nominando Berlusconi». A pagina 272 Vasta è ancora lì a rimuginare: «Il fine di Berlusconi non ha né capo né coda; non solo non è misurabile, è del tutto smisurato. Il fine di Berlusconi è raggiunto, interminabilmente raggiunto, nella misura in cui è un sistema di percezioni che è penetrato nei nostri corpi strutturando le nostre voci, orientando le nostre posture, fornendo parole ai nostri discorsi».
Ma c’è di peggio, c’è sempre di peggio, è il bello di questo libro così horror che Stephen King morirebbe di paura. Tipo quando Giorgio Vasta riflette sull’economia e scrive: «I mercati, per come vengono raccontati dai giornali, sono increati. Ci precedono, ci saranno quando noi non ci saremo più. Sono violenti eppure imperturbabili. Sono immateriali, ma nello scatenamento i loro effetti appaiono sconvolgenti. Certo l’economia va distinta dalla finanza come Jeckyll va distinto da Hyde (del resto Mister Hyde è, alla lettera, proprio come la finanza, ciò che è nascosto)». Ma mica è finita qui. Gli orizzonti di Vasta sono ancora più vasti, lui ha visto cose che voi umani non potreste neppure immaginare, neppure dopo aver toccato il fondo di un fondo di Scalfari. «La finanza, quella filosofica, fa capolino. La finanza è una specie di HAL 9000 che cerca di prendere il controllo della navicella spaziale (ma nessuno lo disattiva, questo HAL 9000 non canterà mai Giro Girotondo); l’economia è l'astronauta scagliato nel vuoto siderale».
In ogni caso, guardate, è meglio restare nel vuoto siderale di Vasta perché quando l’astronave riatterra c’è Michela Murgia, una che si è formata all’Azione Cattolica e adesso riflette sulla società civile pensando cose così, riporto testualmente: «Sento che dentro la semplificazione si nasconde la chiave della sconfitta civile, che la rinuncia a comprendere le sfaccettature costruisce mondi a due dimensioni dove si può esistere solo appiattendosi, vivendo di superfici, diventando sottili nell’anima».
Al che uno si chiede dove cavolo vivano questi qui. La Murgia in teoria vive in Sardegna, e uno pensa la Sardegna è bella, ci sono Soriga e la Soriga (la sorella di Soriga) e la Agus che se la spassano, come mai è così triste la Murgia? Il problema è che lei è un’autrice impegnata e vede un’altra Sardegna, quella che vedrebbe la Gabanelli se si portasse dietro anche Michael Moore e la Barale di Mistero, «un poligono militare in affitto agli eserciti del patto atlantico - un posto tremendo dove si sperimentano armi di cui nessuno conosce la composizione, tranne chi ci vive intorno e vive gli agnelli nascere deformi e i figli ammalarsi di leucemia ancora dentro la pancia».
Al che uno si chiede come vivano questi qui. Bajani sembra non fare un cazzo tutto il giorno, Vasta oltre a pensare i suoi pensieri profondi credo collabori con minimum fax e è un TQ, la Murgia viene pagata per insegnare alla gente a raccontarsi, come atto rivoluzionario. Alla fine mica scema. Non una scuola di creative writing, una cosa più complicata. «Insegno alla gente dei miei corsi a diventare padroni delle storie, a capirne il grandissimo potere; di questi tempi sembra un atto sovversivo, perché implica ammettere una verità che la maggior parte della gente vuole disperatamente dimenticare: che noi non abitiamo solo luoghi, case o città, ma anche le storie di noi stessi che ci vengono raccontate».
Intanto Vasta è ancora lì che riflette, e dopo trecento pagine siamo arrivati alle dimissioni di Berlusconi, il momento metafisicamente più triste del libro: «E dunque Berlusconi va via, finisce, perché in realtà tutto ciò di cui è forma è ormai intessuto nell’ovunque italiano. L’inverosimile è diventato verosimile, l’inconcepibile si è normalizzato. “Certa stampa” non fa che linciare. Il fascismo è stato una democrazia minore. Il confino è una villeggiatura. È uscito l’ultimo libro di Bruno Vespa. L’ultimo è eterno, la fine non è il fine, ciò che finisce continua nella nostra carne». Se fosse una puntata di House qui Vasta cadrebbe in preda alle convulsioni e partirebbe la sigla, ma House è finito.
Infine ti ricordi del povero Paolo Nori, l’unico non sfigato che descrive un presente normale della sua vita di scrittore e forse voleva parlare davvero di letteratura ma ha sbagliato libro e viene inghiottito dalla lagna degli altri.

Alla fine chiudi il libro, deglutisci, ti guardi intorno e hai paura di ritrovarteli da qualche parte, nell’armadio, sotto il letto, al cinema, dal medico, in vacanza, nello stesso scompartimento del treno, e piuttosto meglio finire sotto un treno, davvero. Se poi ti guardi dentro è peggio, hai paura di svegliarti un giorno e diventare come loro, meglio morire. Voglio esagerare: meglio andare ospite da Gad Lerner.

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