Peggio essere un uomo senza qualità o un redentore? Peggio il lavorio cerebrale fine a se stesso che si dipana nell'ozio o la supponenza messianica? Per un nicciano della seconda ora come Robert Musil, non ci sono dubbi. Molto meno nobile, o quantomeno altoborghese, è chi pretende di elargire profezie e leggi di comportamento, chi cioè, come il Wagner interpretato proprio dall'occhio cieco ma veggente di Nietzsche (wagneriano pentito), vuol redimere. E in che modo poi? Facendo di se stesso una religione vivente, un nuovo idolo da venerare...
Ma è anche vero che la disillusione discende dall'illusione, che il nihilismo consapevole è l'evoluzione (o involuzione) dell'ottimismo vitalistico. E che L'uomo senza qualità discende dal Redentore. In principio fu Anders, poi verrà Ulrich. I due paladini dell'umanesimo disgregato, pre-postmoderno, insensato e assurdo creati da Musil sono le facce di una medaglia al demerito, i modelli di una dissoluzione maturata tra la prima e la seconda guerra mondiale, tra la fine di un impero e la nascita di una nazione.
Mai prima uscita in Italia né mai prima raccolta in volume, arriva oggi per i tipi di Marsilio (pagg. 280, euro 18) la basica e quasi adulta versione del capolavoro dello scrittore austriaco. «Anarchico», «archivista», «sacerdote», «spia»... Molti i nomi che morirono in culla, nel laboratorio dell'alchimista Musil, prima che gli si manifestasse quello giusto: Il redentore. Ma il «teorema dell'informità umana», la caduta dell'individuo, di ogni individuo, nella «massa colloidale» della società, si agitavano nella mente dell'autore ancora giovanissimo. Nella Nota al testo, Walter Fanta propone due possibili date di nascita del progetto poi sfociato nell'Uomo senza qualità: l'abbozzo Monsieur le vivisecteur, vergato fra il 1899 e il 1900, da studente al politecnico di Brünn, e il brogliaccio Kehraus (Ballo finale), messo insieme da redattore presso l'ufficio stampa dell'esercito a Vienna.
Collocato tra il '21 e il '22, nel Redentore troviamo, certo, i nuclei tematici principali: il male personificato da Moosbrugger; l'amore incestuoso del protagonista per la sorella; la colossale nella forma ed enigmatica nella sostanza «Azione parallela» che prende le mosse dal giubileo di Francesco Giuseppe. Tuttavia qui prevale, sulla futura e meglio consolidata disposizione narrativa, la crudele, dissezionante introspezione psicologica dei personaggi. Un'introspezione mascherata, nel gioco di specchi che riflette l'autore nei personaggi e viceversa, dalla metafora.
Discutendo con la sorella-amante Agathe, Anders afferma: «Solo le metafore contano. Ciò che le cose sono, questo è il mondo normale degli uomini normali; come le cose possono apparire, questo è il futuro». Tale futuro nebuloso non è né temuto né desiderato, il suo orizzonte non è l'orizzonte del romanzo come non lo è della vita di chi lo abiterà. Nei suoi confronti non ci si pone né in chiave difensiva né offensiva: la sua decifrazione è un gioco intellettuale, un passatempo dell'alta e bassa società.
Anders (cioè l'Altro, il Diverso) ha meno qualità dell'Ulrich senza qualità. È più terreno, più carnale, più violento. Domina la scena, soprattutto nell'episodio della falsificazione del testamento del padre, simbolo materiale delle capacità da Übermensch, da superuomo il quale, se ci si mette, può piegare gli eventi al proprio volere. In questo senso sono da leggere il tentativo di rapimento di Moosbrugger dal manicomio, la pazzia di Clarissa, terrorizzata dall'eventualità di avere un figlio da Walter, la vicenda di spionaggio in Galizia. Qui la Cacania è davvero il regno del possibile. Qui i fatti vincono sulle opinioni, Musil è più giovane, più fisico, più raccontatore e meno osservatore. Non ha ancora sviluppato quell'ironia assassina che diverrà la cifra distintiva nella stesura, definitiva eppure provvisoria, del suo affresco. Ma a tratti Anders è già il cognome di Ulrich: «Bisogna avere le energie del non far nulla.
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