Grammatica paritaria, la linguista: "Giusto evolversi, ma senza forzare la lingua"

La professoressa Ilaria Bonomi: "Espressioni come "la prefetta" sono orribili: bisogna rispettare la varietà dell'italiano"

Ilaria Bonomi, professoressa di Linguistica italiana
Ilaria Bonomi, professoressa di Linguistica italiana

“Come giudicare la carta d’intenti per una grammatica paritaria? Una lingua va rispettata nella sua ricchezza e varietà, senza forzature”: così la professoressa Ilaria Bonomi, ordinario di Linguistica italiana all’Università degli Studi di Milano, commenta la notizia che arriva da Trieste e Udine, dove due università hanno auspicato un uso “non discriminatorio” dell’italiano del XXI secolo.

“La lingua sicuramente si deve adeguare ai tempi, ma il processo di evoluzione è complicato – ammonisce la professoressa Bonomi , che è anche socio corrispondente dell’Accademia della Crusca – Ad esempio nel femminile dei nomi è opportuno seguire l’evoluzione dei rapporti di genere nella società."

”Ma questo processo non è automatico, perché la lingua italiana “è fatta di tanti casi diversi: ad esempio, non si può applicare il suffisso –essa dappertutto, come invece si sente fare”.

“Il giudice” non diventerà quindi “la giudicessa”, ma “la giudice” oppure “il giudice Maria Rossi”. Un discorso analogo vale per “il ministro”, anche se in questo caso le soluzioni variano di volta in volta: “I giornali oscillano – spiega la Bonomi – Alcune testate preferiscono ‘ministra’, altre ‘ministro’, altre alternano le due forme”.

“Certo, dire ‘la prefetta’ come ha fatto recentemente la Presidente della Camera Boldrini, o ‘la sindaca’ è terribile. Anche se è difficile, perché è arduo arrivare a una regola precisa, subentra quasi una questione di gusto.”

D’altra parte la lingua “non deve essere forzata”, ad esempio nelle concordanze: “Se si è abituati ed è fortemente radicato nella lingua dire ‘I ragazzi e le ragazze sono usciti’ non possiamo dire ‘Sono uscite’.

Non possiamo forzare e oltretutto in questo caso l’uso del genere maschile non ha alcun significato discriminatorio.”

Insomma, conclude la Bonomi, “è giusto che la lingua si evolva, e gli interventi devono agire con cautela e nel rispetto dell’uso”.

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