La Gran Torino, l’inossidabile classica che piace alle gente che piace

Esagerata e sopra le righe ha sempre avuto successo al cinema, da Stursky e Hutch a Clint Eastwood. É stata una regina degli inseguimenti ma in realtà era lenta e pacifica, ha fatto la comparsa anche nei Tre giorni del Condor e in X-Files. E il suo nome è un omaggio alla Detroit italiana

La Gran Torino, l’inossidabile classica che piace alle gente che piace

Walt Kowalski non ci fa nulla con la sua stupenda Ford Gran Torino del 1972. Ogni tanto la scopre e la lucida. É lui la Gran Torino, è la cosa migliore che gli rimane. Il meccanico polacco vive da vedovo a Detroit, in un quartiere ormai occupato da asiatici e afroamericani. Ultimo cowboy senza illusioni, scopre la tolleranza e consegna al giovane Thao il suo ultimo gioiello, la Ford d'annata Gran Torino appunto. Molto venduta, molto amata, perchè extralarge, sopra le righe e yankee è la stessa auto de «Il grande Lebowski» ma spunta anche nei «Tre giorni del Condor», in «X-files» e in «Fast & Furious». Una muscle car. Come Clint Eastwood del resto... La popolarità però la Gran Torino l’aveva già conquistata con i telefilm di Starsky e Hutch. La chiamavano «Zebra 3» o «Pomodoro a strisce»: la Gran Torino, ma del 1976, sembrava agile e veloce, ma era pesante come un carrarmato. Rossa, con la striscia bianca laterale, i cerchi in lega Western, e guidata in modo spericolato dalla coppia di poliziotti più bizzarra di Los Angeles in realtà era più adatta a tranquille scampagnate che a inseguimenti mozzafiato. Mentre per noi era una macchina eccessiva e forse un po’ pacchiana per gli americani era appena appena comoda: aveva però tante variabili dalla berlina alla familiare fino alla cabriolet. Il nome Gran Torino era un omaggio alla capitale della Fiat, alla Detroit italiana, a chi, per gli americani, sapeva fare macchine. La macchina di Starsky e Hutch ebbe talmente successo che Ford ne costruì mille modelli identici andati a ruba. Alla Ford, per la Gran Torino, arrivavano persino lettere d'amore. E un testamento che è storia del cinema: «Vorrei lasciare la mia auto del '72 Gran Torino alla persona che più la merita... Thao Vang Lor...

A condizione che tu non scoperchi il tetto come uno stronzo messicano, che non ci dipingi quelle ridicole fiamme come un qualsiasi coatto bianco e che non ci metti sul retro uno di quegli spoiler da checca, che si vedono su tutte le macchine degli altri musi gialli, fa veramente schifo. Se riesci a non fare tutte queste cose... É tua...». Firmato: Walt Kovalski

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