Silvio Rebellato è stato un paracadutista della Divisione Folgore che ha opposto l'ultima disperata resistenza all'avanzata delle forze inglesi durante la seconda Battaglia di El Alamein. Oggi è un arzillo vecchietto di 91 anni. Al telefono esordisce in dialetto con un bel «Se ghe?». Quando però ci mettiamo a parlare di quello che è successo nel deserto settant'anni fa, la sua voce diventa lontana e pensosa.
Perché El Alamein ha fatto la storia?
«Perché anche se l'Asse non se n'era resa conto, vincere o perdere a El Alamein significava mantenere chiuse le porte dell'Europa oppure spalancarle. Come è andata lo sappiamo. Ma in fondo le cose hanno iniziato a cambiare quando non siamo riusciti ad arrivare ad Alessandria. Loro hanno cominciato a sbarcare un numero incredibile di rinforzi...».
Cosa le è rimasto di indelebile nella memoria, di quei giorni di combattimento?
«Il tentativo di resistenza finale della Folgore. Noi appostati nelle buche e gli inglesi che venivano avanti. Un sacco di ragazzi sono morti in quelle buche. Loro avevano i mitragliatori Thompson e quando arrivavano a distanza ravvicinata ci spazzavano via».
Lei come se l'è cavata?
«Mi hanno preso, sono rimasto prigioniero per due anni in Africa e poi sono stato mandato in Palestina che allora era sotto mandato britannico. Sono tornato a casa nel '47».
È mai tornato a El Alamein?
«Sì sono andato a visitare il sacrario».
Cosa ha provato?
«Non si può spiegare... Non si può spiegare».
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