Giovanni Peroncini ha 92 anni. Durante la seconda guerra mondiale era un sottotenente della divisione Folgore. Ha combattuto a sud di El Alamein nel punto in cui è avvenuto il primo tentativo di sfondamento del fronte italo-tedesco.
Mi parli della notte del 23 ottobre 1943...
«Mi trovavo in una delle buche del plotone mortai di cui ero al comando. Eravamo a ridosso della prima linea. Alle 8,45 è scoppiato l'inferno. Ci avevano ammassato davanti un quantitativo di artiglieria impressionante. Per 60 chilometri di fronte vedevi le linee inglesi trasformate in una gigantesca luminaria... La mattina il terreno era irriconoscibile, crateri ovunque, sembrava di stare sulla luna...».
Poi è partito l'attacco?
«Sì ci hanno investito con le truppe motorizzante e i carri armati, si sentiva un immenso sferragliare. Noi con i nostri mortai abbiamo sparato all'impazzata... poi la mia buca è stata colpita, ho temuto di morire... Poi sono strisciato fuori e ho tirato fuori dalla sabbia, scavando, il servente del mio mortaio...».
È stato fatto prigioniero?
«Sì come molti altri, abbiamo resistito sin che abbiamo potuto ma non c'era confronto, alcune nostre armi come il cannone 75/32 risalivano alla Prima guerra mondiale...».
Cosa può insegnare El Alamein ai giovani d'oggi?
«Guardi, quando leggo i giornali il nostro più che un Paese di eroi di santi e navigatori mi sembra un Paese di ladroni. Il fascismo aveva tanti difetti ma ci aveva insegnato il senso dello Stato. E noi per quello Stato abbiamo combattuto. Anche se non si poteva vincere...
Io ho fatto il classico, tra Ettore e Achille ho sempre tifato per Ettore... Molti di quelli che erano ad El Alamein con me hanno scelto di essere Ettore. Oggi mi sembra vada più di moda Guicciardini e il culto del particulare... nel senso deteriore.»- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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