Croce rossa in campo bianco sui loro mantelli. Una veste il cui simbolismo ha influenzato tutto il nostro immaginario visivo sulle crociate. Due cavalieri su un medesimo cavallo, il loro sigillo. Per far capire, da subito, che quel che conta è la fratellanza. In secondo luogo a rappresentare la loro doppia natura di monaci guerrieri, una duplicità unica nella storia del Cristianesimo, una duplicità pagata a caro prezzo. E poi la leggenda bianca dei Pauperes commilitones Christi templique Salomonis e la leggenda nera sfruttata ad arte da Filippo il Bello re di Francia per far sopprimere l'ordine: ricchi e potenti adoratori del demonio.
Basterebbe quello elencato sin qui, ed è soltanto una parte infinitesimale della vulgata a riguardo, per spiegare perché i Templari, e la loro storia, siano diventati uno degli argomenti più studiati del Medioevo. Poi sono arrivati addirittura il cinema, la Disney e Dan Brown...
Ma al di là del Graal, dei presunti tesori nascosti, dei misteriosi idoli, è davvero esistito un segreto dei Templari? In un certo senso sì, anzi più d'uno.
Ne racconta, con piglio assolutamente scientifico, Simonetta Cerrini nel suo L'Apocalisse dei templari. Missione e destino dell'ordine religioso e cavalleresco più misterioso del Medioevo (Mondadori, pagg. 192, euro 19). Sì perché, udite udite, a un certo punto della loro storia i Templari erano convinti, come Gioachino da Fiore e moltissimi altri, che l'Apocalisse sarebbe iniziata nel 1260. La prova? Sta in Italia, nella chiesa perugina di San Bevignate, un santo misterioso di cui non si sa nulla (che fosse anch'egli un templare?). Nella chiesa infatti c'è un enorme affresco quadripartito (sarà un caso ma anche i cavalieri dell'Apocalisse sono quattro). Visto semplicemente per quel che rappresenta dice poco, tranne il fatto che la chiesa è stata voluta dall'Ordine. Al livello inferiore è raffigurata una battaglia tra cavalieri che ha i Templari come protagonisti. Salendo ecco altri cavalieri ma rappresentati in abito monastico, all'interno di una fortezza, uno di loro porge una mano a uno strano leone che si trova all'esterno. Più su, una nave templare affronta un mare pescoso ma in tempesta. Al vertice un'aquila rinserra negli artigli un libro chiuso.
Però attraverso una lettura attenta ai simbolismi medievali, e grazie alla sua capacità di legare i significati nascosti con la storia dell'ordine cavalleresco (che fu sciolto ma mai condannato da Papa Clemente V), la Cerrini (autrice di un'edizione critica della Regola del Tempio e docente in svariate università) riesce a fornire al lettore un quadro scientificamente veritiero, ma godibilissimo, di cosa furono davvero questi monaci cavalieri. La battaglia raffigurata viene identificata come la battaglia di Nablus (1242), non distante da Gerusalemme, un momento importante dell'identità templare. Una raffigurazione con la quale l'Ordine si autocelebrava nel suo elemento guerriero e combattente. Insomma la coscienza di un'unicità e di una forza che avrebbero reso i cavalieri temibili per qualsiasi monarca d'Occidente. Cerrini ne approfitta anche per raccontare la natura della presenza dei Templari a Gerusalemme, la loro politica, le loro relazioni non solo con i regni cristiani, ma con le variegate entità politiche musulmane (i rapporti c'erano eccome), soprattutto la loro «doppia vocazione» che aveva dato vita a una regola «rigorosamente antiascetica per dei frati» e «coraggiosamente antieroica per dei cavalieri».
Il leone dell'affresco ci parla invece del versante spirituale della loro battaglia. Il leone potrebbe indicare il Cristo e la sua resurrezione, ma anche il demonio. Allude alla parte irrazionale e ferina della natura umana, provoca ammirazione per la sua forza, ma anche timore per la sua aggressività. Il grande mare della terza scena rappresenterebbe invece lo stare nel mondo del templare. Uno stare nel mondo che comporta anche i commerci e i viaggi: altro tema caldo che portò alla crescita dell'odio verso l'ordine.
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