Una Maxxi poltrona alla Melandri

Una Maxxi poltrona alla Melandri

Che capolavoro! A pochi giorni dall'annuncio che, seguendo l'esempio del suo compagno Walter Veltroni, non si sarebbe ricandidata alle prossime elezioni politiche, Giovanna Melandri ha trovato subito una poltrona di prestigio. Il ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi le ha affidato la presidenza del MAXXI di Roma, dove dal 23 ottobre sostituirà il commissario Antonia Pasqua Recchia incaricato di ripianare il pesante passivo ereditato dal suo predecessore.
Una nomina che lascia aperte interessanti possibilità di riciclo ai politici in declino. Ma in questo caso, neppure a sinistra riescono a tenere un silenzio imbarazzato di facciata: Nichi Vendola ha dichiarato che la scelta di Melandri è un «problema difficile da digerire e non si è trattato di un bel gesto da parte del governo». Ovunque si levano voci di dissenso: dall'Udc all'Idv, da Grillo al centrodestra, tutti concordano sull'inopportunità di questa nomina. Tutti, tranne l'Amaci, associazione dei musei italiani che si conferma una cupola votata ad autoproteggersi, che si congratula con il neopresidente.
L'unica debole ragione di questa scelta (ce la immaginiamo proprio, col suo birignao romano, a discutere d'arte e di strategie culturali insieme a Nicholas Serota, direttore della Tate o Glenn Lowry, suo omologo al MoMA) può essere nel fatto che Melandri sia stata a suo tempo ministro dei Beni culturali nei governi Prodi e Amato dal 1998 al 2001, e quindi dello sport e delle politiche giovanili tra 2006 e 2008 sempre con Prodi. Per ingraziarsi il mondo dell'arte, nei primi mesi del mandato, convocò tutte le parti del sistema al fine di farsi conoscere e ottenere consenso. Ricordo di aver partecipato a una di queste riunioni con non meno di 200 persone, dove era impossibile prendere la parola e dove lei sembrava la segretaria di Achille Bonito Oliva, vero anfitrione.
Non trova pace il costoso giocattolone di Zaha Hadid... Ci chiediamo che senso abbia la creazione di una Fondazione, indipendente per statuto dalla politica, che dovrebbe rappresentare il più importante museo italiano d'arte contemporanea, e l'unico di Stato, quando poi al vertice viene posto proprio un politico. Un malcostume impensabile in qualsiasi istituzione straniera (non ci risulta ciò avvenga al Centre Pompidou di Parigi o alla Neue Galerie di Berlino). L'amara risposta è che in Italia persiste la mentalità dell'arte di Stato, che persino il fascismo aveva accantonato ritenendola inadeguata. Mentre le maggiori istituzioni, dalla Biennale in giù, reclamano con forza la propria autonomia, il «Museo di Roma» prende ancora ordini dal Parlamento, un concetto che sarà difficile da spiegare oltre confine.
Detto questo, non siamo ingenui e sappiamo come purtroppo vanno le cose in Italia. Melandri al MAXXI non ci trova discordi tanto per la sua militanza politica, sapendo perfettamente che la cultura continua a rimanere «cosa di sinistra» per diritto acquisito e per manifesta capacità del centrodestra di aver posto le basi di una qualsiasi alternativa credibile. Piuttosto, siamo convinti che un politico di lungo corso senza alcuna competenza nella materia specifica sia la persona sbagliata nel posto sbagliato. Troviamo davvero insopportabile la scelta miope di un governo tecnico, che poteva operare oltre le logiche di sempre, un governo che avrebbe la possibilità di muoversi liberamente senza sottostare al malcostume che imperversa nel Paese a tutti i livelli. Il ministro Lorenzo Ornaghi, invece, è come gli altri: o è uomo di poca fantasia oppure schiavo dei partiti, anzi di un solo partito, costretto dai diktat del palazzo a piazzare gli esuberi di una lunga stagione di falliti.


Deleterio ma chiaro il messaggio lanciato ai giovani, a quei pochi che ancora ci credono invece di andarsene altrove, come i nostri migliori curatori d'arte che nonostante l'indifferenza dello Stato sempre più spesso trovano lavoro oltre confine: la meritocrazia in Italia non esiste e la cultura è l'avanspettacolo degli ultimi giri di giostra.
Nemmeno i salotti romani hanno più voglia di compiacersi per il successo di una loro creatura. In quanto a noi, se l'indignazione è sentimento poco sofisticato, quello della nausea davvero ci attanaglia.

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