Giuseppe Culicchia, Torino, 1965, ha esordito nel 1994 con Tutti giù per terra. È il traduttore di Bret Easton Ellis e i suoi ultimi lavori sono Venere in metrò (Mondadori) e Ba-da-bum (Feltrinelli). Ora pubblica un non-manuale di scrittura per esordienti, E così vorresti fare lo scrittore (Laterza) in cui si delinea l'accidentato percorso di un narratore da Brillante Promessa a Venerato Maestro.
Il metodo per diventare scrittori?
«Il self publishing ha risolto la questione in modo radicale: basta la tipografia sotto casa. Per me, uno scrittore è uno che muore senza sapere di esserlo».
Come si riconosce uno scrittore appena entrati in una stanza?
«Se se la tira, si veste di nero, ha l'aria corrucciata. Se cerca il tavolo dei potenti e evita i correttori di bozze. Se parla lentamente per ascoltare il suono della propria voce. Se spiega il mondo anche mentre sta cucinando una pasta in bianco, quello vuole fare lo scrittore. Per trovarne uno vero, cercare tra i presenti chi parla meno di tutti e ascolta».
Quanto pesa sapersi promuovere?
«Pesa. Ma porta via un sacco di tempo, anche perché l'Italia pullula di festival. I contratti editoriali però lo prevedono e Salinger o Pynchon sono rarità che non rientrano nella norma».
Il marketing è un aiuto o una droga per gli autori?
«Chi scrive i bestseller si sente frustrato perché vorrebbe essere preso sul serio dalla critica. Chi scrive romanzi di nicchia si sente frustrato perché non vende. L'ego dello scrittore è talmente smisurato che dopo sei mesi in testa alle classifiche si lamenterà che gli manca la recensione del Domenicale del Sole24Ore. Un tempo il bestseller era una specie di incidente di percorso, oggi è una categoria, come i gialli».
Esiste lo scrittore politicamente corretto?
«Viviamo in un'epoca confusa, è crollato il muro di Berlino, non abbiamo punti di riferimento bla bla bla. E affolliamo i festival sperando che qualcuno ci illumini per venire fuori da questo eterno presente. E allora ci sono questi scrittori che diventano sinonimo di intelligenza: Wallace, ma anche Franzen e Bolaño. Destra e sinistra sono superate: si può leggere anche Céline, figuriamoci. Il marketing ha sbaragliato qualunque categoria politica. Solo Buttafuoco resta per tutti un fascistone: non viene sdoganato, non lo invitano. Non sanno che cosa si perdono».
Ci sono lobby letterarie in Italia?
«Tutti si scandalizzano per il calcio truccato ma guardiamo il mondo delle lettere... È come se l'arbitro potesse giocare. Quando cominciai a collaborare con Tuttolibri chiesi di occuparmi solo di narrativa straniera».
C'era una volta, quando ero un giovane scrittore...
«Il mio primo direttore editoriale, Gianandrea Piccioli di Garzanti, mi raccontava sempre che i libri che rifiutava li vedeva l'anno dopo uscire da un altro: Niente resterà impubblicato, diceva».
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