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Un romanzo opera d'arte di uno scrittore tragico che gioca con lo scandalo

"Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler": un testo duro, irritante e irriverente. Ma che va letto

Un romanzo opera d'arte di uno scrittore tragico che gioca con lo scandalo

Ho letto il nuovo romanzo di Massimiliano Parente Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler (Mondadori, pagg. 402, euro 18). E ho deciso di recensirlo nonostante non sia un critico, ma uno scrittore, nel senso che certe mie parole, come certe parole di Parente, vengono stampate per farne dei libri; e questa è, credo, la sola cosa che Parente e io abbiamo in comune. E nonostante in me convivano due personaggi: il Cattolico Buono (generoso, mentalmente aperto, che fa finta di non scandalizzarsi mai di nulla e coltiva l'amicizia con chi in realtà lo detesta) e il Cattolico Cattivo, il cattolico talebano, sollucchero di tutti coloro che amano sopra ogni cosa scatenare l'indignazione dei bacchettoni. Convivono non perché esistano, ma perché me li ritrovo appiccicati addosso, me li appiccicano addosso tutti, perciò da qualche parte in realtà devono esistere. E parlare di questo libro essendo così bi-cattolici è un problema, che però cercherò di ignorare.
Detto questo, vorrei dire perché secondo me Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler è un libro che va letto. Niente riassunti, anche perché non esiste propriamente nulla da riassumere, sebbene ci siano due ammazzamenti forse tre. La trama scivola a lato di una lunghissima tragica invettiva che è la vera sostanza del libro. C'è insomma una voce, che comincia a parlare e ha un tono preciso, e sarà sempre la stessa voce, sempre lo stesso tono fino alla fine: non aspettatevi cambi di ritmo, sussulti o che.
Nel timbro di questa voce c'è tutto fin dalla prima riga, e questo è un carattere di un vero libro. Il lettore non dovrà mai fare la fatica di tornare indietro perché magari non si ricorda più di un certo personaggio o di un certo episodio. Tutta la vicenda è lì, sempre lì, e affolla ogni riga, tutta in ogni riga.
Il fatto che il libro praticamente si apra con la scultura di una immensa Madonna nuda ricoperta di svastiche dalla cui vagina pende un Gesù Bambino morto impiccato dal suo stesso cordone ombelicale ci consola al pensiero che il protagonista del romanzo, l'artista Max Fontana, forse un alter-ego dell'autore, non produrrà nulla di più scandaloso poiché ha già raggiunto il massimo. Segue un divertente catalogo di opere che stanno bene in un romanzo perché la loro funzione è quella di stare in un romanzo e non in una galleria, dove sarebbero cose senza importanza, al massimo una tesi di laurea di allievi dello Ied o della Naba. Però nel romanzo-voce ci stanno bene, perché Max Fontana è il più grande artista del mondo e può permettersi tutto, a differenza di «Max» Parente, che potrebbe essere uguale in tutto a lui tranne che in questo: a lui non è mai capitato di essere al posto giusto nel momento giusto e di diventare perciò il più grande artista, all'altro sì.
Il meccanismo sta tutto qui. È semplice ed è buono perché è semplice. Io rappresento me stesso, anzi un me stesso un po' più sbracato di come sono davvero (Parente è bello, Fontana molto meno), ma mentre io mi trovo di qua da una certa soglia, il mio ritratto l'ha superata. È la soglia della consacrazione. Dopo essersi masturbato davanti a L'origine del mondo di Gustave Courbet, Max Fontana diventa così celebre che le sue opere - precedentemente dileggiate per la loro mancanza di originalità - vengono contese da musei, gallerie, fondazioni e Fontana diventa il numero uno. Dopo Hitler, che è in assoluto il più grande, ma che sarebbe rimasto uno sfigato se non fosse stato bocciato all'Accademia di Belle Arti.
Mi spiace non aver letto tutti i libri o di non aver visto tutti i film dai quali Parente «ruba» molte immagini. Lui non è Fontana, però le citazioni sono belle, che so, dal genio criminale di Easton Ellis (American Psycho) alla prostituta di colore uccisa in albergo a Las Vegas (vedi il film Very Bad Things di Peter Berg). E poi il «furto» è un'arte.
Ma la vera sostanza del libro è la sua «chiacchiera» disperata, il suo sottofondo tragico, che è tragico fin da subito anche quando a volte irrita (troppe sentenze, troppe dichiarazioni universali, ma che importa), ed è tragico non per chissà quale artificio letterario (Parente non usa alcun artificio) ma perché o si è tragici o non lo si è, e a me piace molto quando uno scrittore è tragico, visto che ce ne sono pochissimi.
Per chi sa che cos'è la tragedia, l'universo può essere due cose: o un caos insensato che noi cerchiamo di rendere quasi abitabile, o è un ordine inaudito da cui nasce la più grande inquietudine che esista e non concede all'uomo di avere una casa.

Parente punta dritto sulla prima via e disprezza la seconda, io punto sulla seconda (che non è più rassicurante) e sulla prima non ho nulla da dire. Resta il fatto che la verità è comunque tragica, e che senza la tragedia uno scrittore è solo un cicisbeo che tira a campare.

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