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Ettore Schmitz, che utilizzerà lo pseudonimo di Italo Svevo, nasce a Trieste il 19 dicembre 1861, da benestante famiglia ebrea. Il padre Francesco autoritario ed energico, è proprietario di una vetreria; la madre Allegra Moravia, affettuosa e dolce, dedita al marito e agli otto figli.

A dodici anni, insieme ai due fratelli Adolfo e Elio, Ettore viene inviato nel collegio di Segnitz presso Wurzburgo. I suoi studi prevedono materie tecniche commerciali insieme al corretto apprendimento di quattro lingue, indispensabili, in particolare il tedesco, per prepararsi alla carriera di commerciante desiderata dal padre. Ma la lingua tedesca, imparata in pochi mesi, e la passione per la letteratura, consente ad Ettore di leggere i maggiori classici tedeschi: Richter, Schiller e Goethe, alcune ottime traduzioni tedesche di opere di Turgenev e Shakespeare, e con particolare entusiasmo le opere del filosofo Schopenhauer.

Nel 1878 i fratelli Schmitz rientrano a Trieste: Ettore si iscrive all'Istituto superiore commerciale "P. Revoltella", anche se le sue aspirazioni segrete erano la letteratura e un viaggio a Firenze, dove avrebbe voluto recarsi per studiare correttamente la lingua italiana.

L'azienda familiare fallisce; le conseguenti incertezze economiche costringono Ettore a cercare un lavoro. Nel settembre 1880 viene assunto presso la filiale triestina della Unionbank di Vienna con le mansioni di addetto alla corrispondenza francese e tedesca. Il lavoro impiegatizio non gli impedisce di coltivare la passione per la letteratura né gli ostacola la collaborazione col giornale triestino "L'Indipendente".

Inizia a scrivere alcune commedie: "Ariosto governatore", "Il primo amore", "Le roi est mort: vive le Roi", "I due poeti" e alcune novelle: "Difetto moderno", "La storia dei miei lavori", "La gente superiore". Con lo pseudonimo di Ettore Samigli Riesce a far pubblicare su "L'Indipendente" due racconti: "Una lotta" (1888) e "L'assassinio di Via Belpoggio" (1890). Due anni dopo sceglie lo pseudonimo di Italo Svevo per sottolineare la sua doppia appartenenza alla cultura italiana e a quella tedesca, e pubblica presso l'editore triestino Vram, a sue spese, il suo primo romanzo "Una vita" (1892), che verrà pressochè ignorato dalla critica.

Alla morte nel 1886 di Elio, il fratello prediletto, che gli procura un dolore profondissimo, seguono quella del padre nel 1892, della madre nel 1895 e delle sorelle Noemi e Ortensia. Italo Svevo affronta il calvario di questi lutti famigliari con l'affettuoso aiuto dell'amico pittore triestino Umberto Veruda e con le attenzioni premurose della diciottenne cugina Livia Veneziani. Felicemente innamorato si unisce in matrimonio con Livia il 30 luglio 1896. L'anno seguente nasce la figlia Letizia.

La vita coniugale scorre serena e tranquilla mentre Italo Svevo continua a dividersi fra tre lavori: l'impiego alla banca, l'insegnamento della lingua francese e tedesca all'Istituto Revoltella, il lavoro notturno al giornale "Il Piccolo", dove è incaricato dello spoglio della stampa estera.

Nonostante le numerose ore di lavoro, ricava il tempo necessario per dedicarsi alla scrittura del suo secondo romanzo, "Senilità" (1898), pubblicato ancora presso Vram, sempre a sue spese. La critica gli rimprovera un uso troppo modesto della lingua italiana e l'attività per cui nutre così tanta passione non decolla. Questo secondo insuccesso di critica e di pubblico scuote profondamente lo scrittore che decide di abbandonare la scrittura per immergersi nuovamente nella lettura di altri grandi autori: Ibsen, Cechov e Dostoevskij.

Nel 1899 lascia definitivamente il lavoro alla banca, inizia ad occuparsi come dirigente dell'industria del suocero e inizia a viaggiare per affari in diversi paesi europei: Francia, Austria, Germania, Inghilterra. La passione per la scrittura non muore: due anni dopo pubblica la commedia di grande impegno "Un marito" (1903).

Nel 1905 il crescente sviluppo delle attività aziendali pongono Italo Svevo nella necessità di perfezionarsi nella lingua inglese; si rivolge a James Joyce, scrittore irlandese giunto a Trieste qualche anno prima per insegnare l'inglese alla Berltz Scholl. L'amicizia fra i due nasce da subito. Entrambi interessati alla letteratura si scambiano valutazioni sui propri lavori. Joyce, dopo la lettura dei due romanzi di Svevo, esprime all'amico parole di consenso e d'incoraggiamento, che fanno riemergere nello scrittore gli stimoli e la convinzione per poter riprendere il lavoro.

Lo scoppio della prima guerra mondiale separa i due amici. Joyce lascia l'Italia, mentre Svevo resta a Trieste per salvaguardare il patrimonio aziendale. Terminata la guerra Svevo collabora al primo grande giornale triestino, "La Nazione", fondato dall'amico Giulio Cesari dopo il passaggio della città all'Italia. Contemporaneamente porta a compimento il suo terzo romanzo, "La coscienza di Zeno" (1923), pubblicato dalla casa editrice Cappelli, ancora una volta a sue spese, e ancora una volta sottovalutato dalla critica italiana. Il successo de "La coscienza di Zeno" arriva grazie all'amico Joyce, il quale lo convince a inviare il testo a critici e letterati francesi.

La salute di Italo Svevo è minacciata dall'enfisema polmonare causato dal troppo fumo; riprende comunque con entusiasmo la propria produzione letteraria: scrive i racconti "La madre", "Una burla riuscita", "Vino generoso", "La novella del buon vecchio e della bella fanciulla", tutte pubblicate nel 1925.

Nello stesso anno va in scena a Roma l'atto unico "Terzetto spezzato". Scrive inoltre l'incompiuto "Corto viaggio sentimentale" che verrà pubblicato postumo nel 1949. Italo Svevo, sempre attivamente appassionato alla lettura, in questi anni legge con ammirato interesse le opere di Marcel Proust e Franz Kafka.

Nel 1928 inizia a scrivere quello che doveva diventare il suo quarto romanzo "Il vecchione", rimasto purtroppo incompiuto. A due giorni di distanza da un grave incidente automobilistico Italo Svevo muore il 13 settembre 1928 a Motta di Livenza.

Nella trilogia dei suoi romanzi Italo Svevo ha espresso il fallimento dei grandi ideali dell'Ottocento, con un linguaggio ironico e amaro, scavando nella coscienza e rivelando miserie e debolezze della natura umana, osservata

però con amorevole e rassegnata tristezza: la sua opera si eleva sulla contemporanea letteratura italiana ed esprime il dramma esistenziale dell'uomo moderno che, a quel tempo, trovava riscontro anche nel romanzo europeo.

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