Non c'è niente da fare: anche quando una foto è scattata da un importante fotografo, lo scrittore ci perde sempre, e in misura direttamente proporzionale alla sua grandezza. È come per le presentazioni dei libri: più sei consapevole dei tuoi romanzi, meno hai voglia di presentarli. Io ogni volta che mi fanno una foto rabbrividisco, e per la stessa ragione non vado in televisione, non solo perché mi annoio, piuttosto non voglio vedermi, voglio essere un'idea. Ecco perché il volume Scrittori, edito da Contrasto (pagg. 512, euro 29,90, a cura di Goffredo Fofi), è spettacolare: perché non se ne salva uno.
Uno scrittore fotografato rivela l'inadeguatezza di uno sguardo, di una posa, di un corpo di troppo. Non per altro i più geniali scrittori moderni hanno cercato di liberarsi dal peso di avere una vita visibile: da Gustave Flaubert, secondo il quale uno scrittore doveva dare alla posterità l'illusione di non essere vissuto, alla lotta di Marcel Proust contro il biografismo di Sainte-Beuve. Unica eccezione Aldo Busi: si è reso invisibile per eccesso di visibilità, fino a farne le spese non ritrovandosi più neppure lui. Così un conto è immaginare Louis Ferdinand Céline nelle vesti di un irriducibile Bardamu, un altro vederlo seduto su una panchina in un parco come un barbone rimbambito, viaggio al termine della Caritas. Bruce Chatwin si fa fotografare con lo zaino e gli scarponi in spalla, ti fa pensare al figlio scemo di Mauro Corona, il quale a sua volta non è che sia proprio Einstein. Don DeLillo indossa un giubbino di pelle nera alla Fonzie o alla Renzi dalla De Filippi, mentre Bret Easton Ellis punta all'effetto American Psycho, in piedi al centro di un corridoio, ma più che Patrick Bateman sembra una gemellina di Shining rimasta sola. Da accoppiare alla foto di Joyce Carol Oates, già identica di suo alla Wendy di Shining solo che è lei a scrivere il mattino ha l'oro in bocca.
Allen Ginsberg nudo e peloso fa vomitare, come tutta la beat generation del resto, ma lavati e vestiti, puzzone. John Dos Passos ha degli occhiali davvero belli e delle unghie davvero brutte. Antoine de Saint-Exupéry insaccato nella carlinga di un aereo, con le cuffie sulla testa come un deejay imbecille, non ci fa certo la figura di Tom Cruise in Top Gun, anzi ti aspetti che decolli e non torni più, infatti. Ernest Hemingway è il solito scorreggione carne e pesce, fotografato con fucile e fagiano in mano, ogni volta che lo vedo ho un motivo in più per non leggerlo. Marguerite Yourcenar è un uomo travestito da nonna, Doris Lessing una vecchia che ti spia da dietro la siepe del giardino, desidera qualcosa signora? No? Allora pussa via. Thomas Pynchon non si fa fotografare, si sa, però quella foto tessera dei tempi del liceo ha oggettivamente rotto le palle. Tanto quanto Michel Houellebecq debosciato sul divano con la sigaretta consumata: esistono gli antidepressivi, bello.
Gli italiani lasciamoli perdere: Carlo Emilio Gadda è troppo incombente e professorale, seduto a un tavolo, librerie sullo sfondo di un'aula, la cognizione del dolore di un esame universitario andato male. Italo Calvino in posa con una sfera di vetro in mano, vorrebbe sembrare Borges o un quadro di Escher, invece è un ragioniere di provincia aspirante Mago Otelma. Pasolini ovviamente gioca a pallone con i ragazzini, però in giacca e cravatta, un impiegato in pausa pranzo. I poeti, da Giuseppe Ungaretti a Andrea Zanzotto, tutti con la sciarpina sfigata d'ordinanza, ti viene voglia di cospargerli di benzina e dargli fuoco.
Se aprendo la porta di casa ti trovassi di fronte Cesare Pavese lo prenderesti per un agente immobiliare particolarmente triste e gliela sbatteresti in faccia. Gli ebrei lasciamoli stare, valga per tutti lo sguardo truce, recriminatorio, olocaustico, di Primo Levi, in piedi su un balconcino: se questo è un uomo, meglio quella stronza della mia ex. Al limite pure Amos Oz piantato come un cactus nel deserto di Arad. Oppure Abraham Yehoshua, che cammina pensoso in riva al mare, tipo ebreo errante sulla spiaggia, ma dove cavolo vai.
L'unico a guadagnarci, devo ammettere con onestà, è Roberto Saviano, non tanto perché con tutti quegli scrittori non c'entra niente. D'altra parte c'è pure Alessandro Baricco: fa l'equilibrista sui binari di un treno, bella foto perché ti suscita sentimenti omicidi, la fissi sperando passi il treno.
Ma non bella quanto quella di Saviano in albergo, seduto su un letto, seminascosto da una tenda, con il mento nella mano e quella posa goffa di chi ritiene di pensare qualcosa di importante e di civile, lo sguardo mezzo cane bastonato napoletano mezzo «io so» di Pasolini. Il ritratto più riuscito perché è davvero tutto lì, dietro non c'è niente. Al limite Fabio Fazio, nascosto dietro la tenda.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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