Devo essermi graffiata la guancia. Mi brucia. La mascella mi fa male. Cadendo ho rovesciato un vaso, ricordo di averlo sentito esplodere a terra e mi domando se non mi sono ferita con un pezzo di vetro, non lo so. Fuori il sole brilla ancora. Si sta bene. Riprendo fiato piano piano. Sta per venirmi un mal di testa terribile, lo sento, manca poco.
Due giorni fa, mentre annaffiavo il giardino, ho alzato gli occhi al cielo e mi è apparso un messaggio inquietante. Una nuvola, di forma molto esplicita. Mi sono guardata intorno per vedere se era destinata ad altri, ma non ho visto nessuno. Non si sentiva niente, c'ero solo io che annaffiavo, non una parola, un grido, un alito di vento, nemmeno un apparecchio acceso e Dio sa se da queste parti non c'è sempre in funzione un tosaerba o un aspiratore da giardino.
Ho una certa ricettività per gli interventi del mondo esterno. Sono capace di chiudermi in casa per giorni senza mettere piede fuori quando avverto un presagio inquietante nel volo erratico di un uccello magari accompagnato da un grido penetrante o un lugubre gracchiare o se un raggio di sole a sera mi colpisce il viso in modo strano attraverso il fogliame, o quando mi chino per dare qualche soldo a un uomo seduto sul marciapiede e quello mi blocca il braccio all'improvviso e si mette a urlarmi in faccia: «I demoni, il volto dei demoni... ma se minaccio di ucciderli, allora sì, mi ubbidiscono!» gridava ripetendo la frase a getto continuo con due occhi da pazzo, non mi mollava, e appena tornata a casa, quel giorno stesso, ho disdetto il biglietto del treno senza pensare un attimo allo scopo del viaggio, senza dargli la benché minima importanza, ma proprio nessuna, non sono un'aspirante suicida né sorda agli avvertimenti, ai messaggi e ai segni che mi vengono inviati.
A sedici anni ho perso un aereo in seguito a una sbronza alla festa di Bayonne, ed è precipitato. Ci ho pensato a lungo. E ho deciso che da allora in poi avrei preso qualche precauzione per salvarmi la vita. Ho ammesso l'esistenza di certe cose e ho lasciato riderne chi voleva ridere. Non so perché ma i segni venuti dal cielo mi sono sempre parsi i più pertinenti, i più categorici, e una nuvola a forma di X abbastanza insolita da attirare doppiamente la mia attenzione può solo mettermi sul chi vive. Non so cosa mi abbia preso. Come ho potuto abbassare la guardia? Anche se un po' molto? è colpa di Marty. Mi vergogno talmente. Sono talmente furiosa, adesso. Furiosa con me. Ho una maledetta catenella alla porta, l'avrò mica dimenticato? Mi alzo e la vado ad agganciare. Per un attimo stringo il labbro inferiore tra i denti, resto immobile un momento. A parte il vaso rotto, non rilevo danni. Salgo a cambiarmi. Vincent viene a cena con la sua ragazza e non è pronto niente. È incinta, ma non di Vincent. Ho smesso di esprimermi sull'argomento. Non ho niente da guadagnarci. Non ho più la forza di combattere con lui. Né la voglia. Quando mi sono resa conto di quanto assomigliava a suo padre, ho creduto di impazzire. Lei si chiama Josie. Vuole una casa per sé, Vincent e il nascituro. Richard ha finto di essere in bolletta appena abbiamo accennato al costo degli affitti a Parigi. Andava avanti e indietro imprecando, come sempre ormai. Quanto è invecchiato, quanto si è incupito in vent'anni. «Al mese o all'anno?» ha detto con fare aggressivo. Non era sicuro di trovare i soldi. Mentre io, secondo loro, godo di una rendita congrua e regolare.
Ovvio.
«Sei stato tu a volere un figlio» gli ho detto. «Ricordatelo».
Me ne sono andata perché era diventato insopportabile, di questi tempi è più insopportabile che mai. Gli consiglio di ricominciare a fumare, o perfino a correre, per espellere la cupa amarezza da cui è abitato la maggior parte del tempo.
«Ma vaffanculo, scusa ha detto. Tra l'altro adesso non ho un soldo. Credevo che avesse trovato lavoro».
«Non lo so. Parlatene voi due».
Non voglio più combattere nemmeno con lui. Ho passato oltre vent'anni della mia vita insieme a quest'uomo, a volte mi chiedo dove ho trovato la forza. Apro l'acqua nella vasca. Ho la guancia rossa e anche un po' gialla, pare terracotta, e c'è una gocciolina di sangue all'angolo del labbro. Sono orribilmente spettinata la pinza con cui avevo raccolto i capelli si è staccata per metà. Metto i sali nell'acqua. È una pazzia, sono già le cinque e quella ragazza, Josie, non la conosco bene. Non so cosa pensare di lei. Ma c'è una luce stupenda e molto tenue, tutt'altro che minacciosa.
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