Siti non è Pasolini, e lo Strega se lo beve

L'autore di "Resistere non serve a niente" trionfa nel premio da cui il suo maestro si ritirò perché "capitalista"

Walter Siti, vincitore del LXVII Premio Strega
Walter Siti, vincitore del LXVII Premio Strega

Non c'è stata gara: Walter Siti e il suo Resistere non serve a niente (Rizzoli) sempre in testa, dall'inizio alla fine. La storia del 35enne Tommaso Aricò, bankster ovvero squalo della finanza, genio matematico, ex obeso, ex povero, depresso, promiscuo e capace di amare solo il suo fondo di investimento, ha schiacciato tutti gli avversari con 165 preferenze. Ben più del doppio del secondo classificato Alessandro Perissinotto (78) e del terzo Paolo Di Paolo (77). Questa vittoria per una volta è piaciuta all'ambiente editoriale: su facebook Renzo Paris, Emanuela Abbadessa, Fabio Viola, Paolo Repetti e persino la scuola Holden plaudivano agli Amici della Domenica. Non sono mancate le critiche dai loggionisti: delusi dalla mancanza totale di pathos e dalla diretta tv: «C'è più freschezza al Museo Egizio». E soprattutto c'è chi dice che Siti ha vinto con il suo libro peggiore, che non raggiunge i vertici compositivi de Il contagio.

Eppure, il professore che anche in Contagio attaccava il virus mediale e il culto dell'apparenza indotto dal mercato, giovedì sera era là, nel girotondo mondano, tra il buffet impervio, le anziane signore postmoderne e i prosecchini annacquati, a farsi impalmare all'evento letterario nostrano più ingessato: «Mondanità? L'ho vissuta come Fabrizio del Dongo vive la battaglia di Waterloo: rasoterra. E stando rasoterra non si vede niente» ha protestato quando lo abbiamo raggiunto telefonicamente ieri mattina. «Mi hanno portato lì e fatto sedere a un tavolo e quando hanno cominciato a leggere i nomi tutto è diventato troppo ansiogeno e sono andato su una panchina in fondo dove non si sentiva niente. A un certo punto mi hanno preso, buttato su un palco, sballottato di qua e di là, mi hanno fatto bere da una bottiglia e poi era tutto finito».

Sarà. La verità è che a parte le polemiche annacquate quanto i prosecchini (Perissinotto lamenta il sostegno preventivo e dissociato di Emanuele Trevi al vincitore e ipotizza che alcuni giurati votino per sinergie, senza nemmeno leggere tutti i libri in gara; Stefano Mauri di Gems si lagna della «logica pura» di Mondadori e Rizzoli nella scalata al liquore), a nessuno, che si sappia, è venuto in mente che sarebbe stato bello discutere in pubblico con il professor Walter Siti proprio del tema del romanzo, ovvero la «resistenza"» Lo scrittore, considerato l'erede in tutto e per tutto (in senso letterario ed esistenziale) di Pier Paolo Pasolini, curatore della sua opera omnia per i Meridiani e ora tra i líder máximi del mondo culturale italiano dopo la nomina a direttore di Granta Italia, ha vinto con la critica a un sistema economico che opera all'insegna del liberalismo sfrenato e che tritura l'umano. Quello stesso sistema economico che Pasolini attaccò nascente ritirandosi dallo Strega oltre cinquant'anni fa: «Il Premio Strega è completamente e irreparabilmente nelle mani dell'arbitrio neocapitalistico» scrisse sul Giorno sottraendo il suo Teorema alla cinquina finalista. Che ne dice, Siti? «Mi sembra di ricordare che questa cosa Pasolini la disse nel 1968, uno di quei periodi in cui tutte le istituzioni culturali venivano messe in discussione. Era un momento in cui discutere aveva senso. Ora non è questo il gioco: bisogna mirare più in alto, o più in basso: ripensare la funzione della cultura oggi. Una cultura che si arrocca dietro fiori all'occhiello - il cinema, il teatro, la letteratura - e dovrebbe invece interrogarsi sulle condizioni nuove del vivere insieme, del fare comunità».

Sarà. Ma se si accetta di entrare nel sistema, accettando i premi, accettando la mondanità seppure «rasoterra», chi vuole resistere come lo si distingue da tutti gli altri? «L'industria culturale, nel momento in cui non è intrattenimento e non obbedisce a stereotipi, apre possibilità. Il Premio Strega è legato a vecchie abitudini, vecchi sistemi, meccanismi che conosciamo, niente di innovativo. Bisogna solo decidere se giocarci o no. E certe volte anche Pasolini ha accettato di giocarci».

Sarà, ma non appena la conduttrice della serata propone a Siti una riflessione sull'omosessualità «lasciata da parte» in questo romanzo, come fosse l'ennesima battaglia, il professore non sembra affatto «sballottato»,

ma molto reattivo. E a bocce ferme soggiunge: «Ma che voleva dire con “abbandono del tema omosessuale?” Uno è omosessuale, ma mica a tempo pieno: non sono obbligato a parlare della mia omosessualità 365 giorni l'anno...».

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