Non cè che dire, la signora è furba. Heleen Van Royen è olandese, ha poco più di quarantanni, e da brava giornalista televisiva, nonché moglie di un noto conduttore tv, conosce le astuzie della ribalta mediatica e quello che il pubblico si aspetta. Pubblico che in questo caso ha tributato grandi onori al suo terzo romanzo Fuga (Bompiani, pagg. 322, euro 17, traduzione di Dafna Sara Fiano), e ha avuto anche modo di ammirarla senza veli sulledizione olandese di Playboy, iniziativa cui lintraprendente autrice ha fatto una pubblicità da prendere a esempio per i corsi di laurea in comunicazione.
Il libro è costruito per sedurre qualsiasi donna sposata e con figli, che sia incastrata in una routine faticosa e ineludibile, e sogni di trovare un giorno il coraggio della creatura della Van Royen: annunciare alla famigliola felice che sta per andarsene via per un po, sconfiggere sbrigativamente i sensi di colpa, prendersela col marito dalle misure e dalle prestazioni sessuali che definire scarse è un eufemismo, salire su un volo per un Paese mediterraneo scelto quasi a caso - nella fattispecie il Portogallo, dove la scrittrice vive con la famiglia quando non è ad Amsterdam - e lì godersi solitudine, libertà e una scontatissima avventura tutta sesso con un improbabile gagliardo gigolò. Salvo infine, dopo la consueta «pausa di riflessione», tornare a casa, più per amore dei figli che per il noioso consorte.
Il fatto che un romanzo scritto con nordica durezza, molti cliché e poche sorprese abbia avuto gran successo in Olanda e in svariati Paesi europei, sta probabilmente a dimostrare che le donne alla lettura chiedono immedesimazione, evasione, ma soprattutto di potersi identificare con una di loro che almeno per un po possa permettersi di mandare tutti a quel paese e farsi i cavoli propri. La storia procede bene fin quando si cala nei tormenti coniugali e di identità della protagonista, mentre non appena si sposta fuori porta, diventa improponibile. Sarà perché ormai siamo nauseati da tante presunte trasgressioni, ma neppure per un momento la donna che si aggira per discoteche a caccia di ragazzotti o che si rinchiude in un tempio della chirurgia estetica per rifarsi dalla testa ai piedi sembra una donna liberata, per non dire originale.
Le foto di nudo della scrittrice, invece, non paiono tanto lemblema della libertà di pensiero, come la Van Royen proclama. Lei che mostra di tenere tanto a concetti poco sfruttati e non banali per cui una donna può essere testa ma anche corpo, deve poter disporre con allegria della sua immagine, deve potersi comportare come gli uomini in fatto di sesso, eccetera. Il nudo «dautrice» è un banale atto di vanità, nonché la più scontata operazione da dare in pasto alla società dellapparire. Simile a quel meccanismo per cui un numero consistente di signore, ispirate da calendari e rotocalchi, chiamano fotografi o ritrattisti per farsi immortalare nude prima che gli anni siano troppi, e poi piazzano orgogliose il risultato nel posto più visibile della casa o dellufficio.
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