Il verso giusto Toulet, lampi di grazia da fantasista


di Nicola Crocetti


La vita è più futile parvenza
Dell'ombra sopra il muro.
Eppure il geroglifico oscuro
Della terrestra tua presenza.

M'incanta, e il tuo riso ch'è simile
Al vivo bagliore dell'arme;
Perfino quelle lacrime bugiarde
Che miravano al sole.

E nemmeno morire è un'ombra vana.
La notte, se ti coglie il terrore,
Non sentirti battere il cuore:
È una persona strana.





(Traduzione di Maria Luisa Spaziani)


Figura marginale ma tutt'altro che trascurabile della poesia francese, Paul-Jean Toulet è il principale esponente della «scuola fantasista», fondata nel 1912 da un gruppo di poeti che, grazie alla chiarezza e la perfezione della misura, si ripropongono il rinnovamento della poesia francese in un'epoca dominata da Mallarmé e dai simbolisti. Il successo del movimento è però effimero, rapidamente stroncato dal primo conflitto mondiale. Nato a Pau nel 1867, Toulet compie studi senza profitto e viene espulso dal liceo per indisciplina. A 13 anni scrive versi per le cuginette, ma la sua prima vera raccolta, Controrime, uscirà postuma. A 18 anni sbarca alle Mauritius, dove vive il padre (ha perso la madre a pochi mesi), e comincia la vita dissoluta - amori facili, droga -, che il patrimonio familiare gli consente e che condurrà per dieci anni.
Dotato di fantasia ardente, la vita gli sembra più vana delle immagini che serba la memoria: i paesaggi smaglianti di Mauritius, Algeri, dove trascorre un anno, più tardi la Spagna, l'India e la Cina. Ma soprattutto il sud-est della Francia, dove si stabilisce a 23 anni per ristabilire la sua fragile salute (soffre di tisi). Nel 1898 sbarca a Parigi. Ha 31 anni, ed è deciso a sedurre la capitale con la sua vita da dandy e la sua arte da cesellatore dei sentimenti. «Giovane dio color del miele», come viene definito, pubblica romanzi, collabora a La Vie Parisienne e ad altre riviste, e fa il «negro» per il famoso scrittore Willy.

Nella Francia delle grandi tirature, dispensa le sue brevi poesie su foglietti agli amici. «Vetri soffiati, lampi di grazia», le definisce la sua traduttrice Maria Luisa Spaziani. Muore nel 1920, a 53 anni, per un'emorragia cerebrale.

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