Politica

La cura per l’Italia

La sinistra ha demonizzato la riforma costituzionale oggetto del referendum confermativo - quindi chi la approva deve votare Sì - inventandosi la bugia che questa ridurrà le garanzie fondamentali ed alzerà i costi complessivi dello Stato, frammentandolo. Si tratta di un evidente catastrofismo strumentale, tipo la fasulla questione del declino economico poi dimenticata il giorno dopo le elezioni politiche. Ma la sinistra si avvale di propagandisti molto abili, oltre che di grandi mezzi mediatici, ed è quasi riuscita a spaventare le popolazioni delle regioni meridionali, ad inquietare l'elettorato che idealmente difende la socialità dello Stato ed a delegittimare il nuovo modello sul piano dell'efficienza. Per questo è importante dimostrare con argomenti solidi che l'allarmismo della sinistra è infondato.
La riforma modifica la seconda parte della Costituzione, quella relativa al modello istituzionale, ma non la prima che contiene le garanzie fondamentali in materia di diritti economici, alla salute, all'istruzione, ecc. Per esempio, le Regioni avranno più competenza gestionale nei sistemi sanitari ed educativi, ma non potranno mai violare il diritto alla salute stessa non erogando qualche servizio essenziale. Qualora una lo facesse, ci sarebbero due salvaguardie. La clausola di «interesse nazionale» che fornisce allo Stato centrale il potere, ora inesistente, di eliminare la legislazione locale divergente. E, in ultima istanza, la Corte costituzionale certamente farebbe prevalere la garanzia costituzionale sull'atto legislativo locale. Per lo stesso motivo non esiste il pericolo che uno studente della Calabria resti senza libri. Ci spieghino i propugnatori del No dove sarebbe la falla costituzionale attraverso la quale passerebbe la distruzione dell'universalità delle garanzie nella Repubblica. Pensano forse che una parte delle tasse che resterà nelle Regioni e Comuni, in prospettiva, potrà togliere risorse ai luoghi più poveri e così definanziare in questi le garanzie? Impossibile, proprio perché il governo centrale sarebbe obbligato a rispettarle per dettato costituzionale, parte prima, sostituendosi alle Regioni inadempienti o incapaci. E attraverso la clausola di interesse nazionale avrebbe un potere diretto ed esclusivo nel farlo. In generale, la riforma prevede sia più capacità di autogoverno delle Regioni e Comuni sia più potere dello Stato centrale - anche come garanzia verso l'Europa a cui è stata ceduta la sovranità economica - di sovrastarne o sostituirne il potere se i loro atti diventassero diseconomici o contrari ai diritti fondamentali. In sintesi, la bontà della riforma si basa sul buon equilibrio tra requisiti di maggiore governabilità nazionale e locale nel mantenimento dello modello di garanzie esistente. Ma c'è di più. Tale modello istituzionale è molto più adatto di quello esistente ad aumentare la competitività economica della nazione. Semplificando, oggi è come se fossimo su una nave dove il capitano (primo ministro) non può girare il timone, gli ufficiali (i partiti) agire senza responsabilità e l'equipaggio (Regioni) deve manovrare le vele con i piedi legati. Anche chi non è cultore della materia si accorgerà che per far navigare l'Italia nell'oceano della concorrenza globale bisogna avere una catena di comando ordinata ed un equipaggio che possa lavorare. Ed è esattamente il modello che propone la riforma frutto di un intelligente bilanciamento tra requisiti di autogoverno locale e di rafforzamento della governabilità nazionale, ambedue fattori competitivi. Ma una sinistra sfinita sul piano morale e tecnico riesce a dire solo No invece di riconoscere che il Sì farebbe bene all'Italia tutta.
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