Due cardinali del Perù dietro al sorpasso al super favorito Parolin

I due porporati hanno spinto sull'americano e convinto i più tradizionalisti. Alla fine anche il Segretario di Stato ha appoggiato Prevost

Due cardinali del Perù dietro al sorpasso al super favorito Parolin
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Il nome di Robert Francis Prevost è iniziato a circolare per la prima volta all'interno delle congregazioni generali verso la fine di aprile, subito dopo i funerali di Papa Francesco: da un lato buona parte del collegio cardinalizio aveva gli occhi puntati sul Segretario di Stato, Pietro Parolin, il candidato forte, «usando una metafora automobilistica, praticamente una Ferrari». Dall'altro, mentre i grandi elettori iniziavano a raccogliere voti tra porporati più o meno spaesati, un po' fuori dai giochi anche per motivi linguistici, si era già messa in moto, contemporaneamente, un'altra vettura, una piccola «macchina della speranza», come l'ha definita un partecipante a quelle riunioni, «una minuscola utilitaria guidata dallo Spirito Santo», con a bordo due cardinali peruviani: l'elettore Carlos Gustavo Castillo Mattasoglio, arcivescovo di Lima e il gesuita Pedro Barreto Jimeno, arcivescovo emerito di Huancayo, ultraottantenne e quindi non elettore. Entrambi porporati creati da Francesco e vicini alla sua sensibilità pastorale, conoscono da tempo il religioso statunitense Prevost, non lo hanno mai considerato «un gringo», ne avevano apprezzato invece le doti pastorali ed evangeliche dai tempi in cui operava nella loro terra come missionario e poi come pastore a Chiclayo. I due cardinali avevano fatto il nome di Prevost ad altri confratelli del centro America e del Sud America: accanto alla candidatura forte del braccio destro di Papa Francesco e lasciando perdere i «candidati di bandiera» o «quelli mediatici», il padre agostiniano avrebbe potuto rappresentare la giusta mediazione tra le due anime della Chiesa in quanto «persona molto equilibrata». Sul tavolo, però, c'era anche la sua esperienza da missionario, da esperto di diritto canonico, da uomo della Curia Romana. Insomma, un curriculum di tutto rispetto.

Da quella piccola scintilla innescata dai due peruviani, alla fine è venuta fuori la candidatura del futuro Papa Leone XIV che ha ricevuto consensi da più parti «prendendo una marea di voti». Infatti, da quella prima volta in cui è stato fatto il suo nome, vecchi e giovani del collegio più esclusivo al mondo, hanno iniziato a ragionare sul fatto che Prevost avrebbe davvero potuto rappresentare l'alternativa al Segretario di Stato: i primi a muoversi dopo i due peruviani sono stati, infatti, altri due piccoli gruppi di cardinali «dalla fine del mondo» e alcuni tra gli statunitensi, tra cui Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago, la città natale del nuovo Papa e Joseph Tobin, l'arcivescovo di Newark, anche loro molto vicini alle posizioni del Papa argentino.

Nei giorni a seguire, nel frattempo, la voce di questa possibile volata a Prevost era giunta all'orecchio di un importante cardinale di Curia, ormai ultraottantenne: un porporato che stima e che conosce da tempo l'ormai ex prefetto del Dicastero per i Vescovi e che mantiene anche ottimi rapporti con i cardinali (residenti e non) considerati più vicini al mondo tradizionalista, soprattutto statunitensi come Burke, Dolan, DiNardo e Harvey. Sarebbe stato lui a creare un ponte tra i conservatori di Curia, i conservatori americani ed africani e il cardinale Prevost, perfetta scelta di mediazione nel caso in cui non fosse decollato il loro candidato (dopo aver sostenuto in prima battuta l'arcivescovo di Budapest, Peter Erdo, avevano infatti deciso di convergere sul cardinale Parolin). Discorsi affrontati, ovviamente, prima dell'entrata in conclave, anche se tutti i cardinali sapevano già, prima di raggiungere la Sistina, che la partita sarebbe stata esclusivamente tra il veneto Parolin e l'americano Prevost.

Dopo l'«Extra Omnes» i giochi si sono svolti esclusivamente al refettorio della Domus Santa Marta. Il pranzo di due giorni fa è stato, infatti, decisivo: tra un boccone e l'altro, tra una chiacchiera e una risata, si è capito che il porporato statunitense stava conquistando sempre più consensi, «quella piccola utilitaria stava per superare la Ferrari», anche grazie al sostegno dei cardinali asiatici. È stato proprio in quei momenti, giusto il tempo di un piatto di pasta, che il Segretario di Stato, parlando anche con qualche esponente del mondo conservatore, ha deciso di fare un passo indietro e appoggiare la candidatura dell'altro confratello «papabile». Prima di raggiungere la cappella Sistina per il quarto scrutinio, tutto era ormai deciso: il voto sarebbe andato al 69enne Prevost.

Quella «piccola utilitaria», alla fine, aveva superato di gran lunga «la Ferrari». Lo Spirito Santo, ancora una volta, aveva premuto l'acceleratore per cambiare la storia e spiazzare il mondo. Proprio come dodici anni fa.

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