D’accordo poca ironia su Sakul Intakul Ma piace solo a Bettini

Giusto non ironizzare, come raccomanda Goffredo Bettini, gran patron della Festa di Roma (ancora solo per un anno, poi l'aspetta un ruolo da sindaco ombra di Veltroni), sul nome dell'artista thailandese che firma l'ardita installazione piazzata accanto al tappeto rosso dove ogni sera sfilano star, politici e imbucati. Trattasi di Sakul Intakul, e potete immaginare i lazzi che, in materia, può produrre una città come Roma, plebea, godereccia e facile alle battutacce. Quindi non faremo ironie, del resto facili e scontate. Ma riportiamo, per il piacere dei lettori, la voce del catalogo che riguarda Intakul: «Artista che come pochi incarna al meglio la figura dell'“apparatore”, quel regista-scenografo-costumista che nelle varie epoche ha ideato apparati scenici per storici personaggi e grandi eventi». Apparatore? L'installazione consiste in una lunga struttura in ferro battuto, lunga trenta metri, a forma di pellicola cinematografica, interamente ricoperta di azalee bianche su fondo verde. Insomma, la Festa «illuminata dalla poesia e dalla bellezza dei fiori». Dovete sapere che Bettini è una celebrità in Thailandia, gli hanno conferito una prestigiosa onorificenza, possiede anche una casa da quelle parti. Commento del collega Luca Mastrantonio, del Riformista: «Alla felliniana palla demolitrice di Dante Ferretti a Venezia, Roma risponde con un nastro floreale. Una buona svisata pacifista». Già: mettete dei fiori nei vostri cannoni.
OMONIMIE. Incontro Luca Giannelli, valente cine-critico di La 7, e gli faccio i complimenti per come dirige una delle sezioni della Festa, «Alice nella città», specializzata in film per ragazzi. «Non sono io, è un omonimo», risponde. Incontro Alessandro Usai, ex bocconiano di ferro, già consigliere del ministro Urbani in materia di «reference-system» per il cinema, poi direttore generale di Cinecittà Holding, oggi brillante amministratore delegato della casa di distribuzione (e produzione) Mikado. Gli dico: ho letto un tuo editoriale di politica ed economia sulla prima pagina del Tempo. «Non sono io, è un omonimo». La cosa gli ha procurato pure qualche problema. Passeggio dentro l'Auditorium, mi indicano una signorina, Fabia Bettini, che collabora in modo non proprio marginale alla rassegna di cui sopra, «Alice nella città». Sarà un'omonimia, penso. Invece no.
NESSUN RIDA. Va bene che Coppola è un maestro assoluto, indiscutibile, intoccabile, e poi ha portato alla Festa il suo film in anteprima mondiale. Però possibile che, alla proiezione mattutina per la stampa, nessuno si faccia sfuggire manco una risatina? A un certo punto, il protagonista Tim Roth, trovandosi a Malta insieme all'amata che gli indica un uccello in riva al mare, risponde: «È un falcone. Un falcone maltese». Di sicuro un omaggio a John Huston, rassicura il cinefilo.
MÜLLER IN CINA. Una delegazione della Biennale è approdata alla Festa. C'è il presidente Croff, appena liquidato da Rutelli.

Non c'è il direttore della Mostra, Marco Müller, noto sinologo, partito per Pechino con la riconferma in tasca. In una scena del film di Coppola sentiamo dire: «Per conoscere davvero il cinese serve la memoria di un Mandarino». Müller ce l'ha.

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