Ha un bel dire Massimo DAlema, a commento della crisi rabberciata col rinvio del governo alle Camere, che «certa sinistra non serve al Paese». A non comprometterne la sopravvivenza, anzi a consentirle di riprendersi quando si poteva staccarle politicamente la spina, è stato proprio lui. Mi permetto di rinfrescare la memoria a chi ancora lo considera devotamente «lultimo hegeliano», come il suo ex collaboratore Fabrizio Rondolino, o lo «sogna a braccetto con Silvio Berlusconi», come - ahimè - il mio amico Marcello DellUtri, dichiaratosi ammirato la settimana scorsa per la performance del ministro degli Esteri al Senato, per quanto bocciata con il contributo non certo secondario di Forza Italia.
La sinistra antagonista, quella appunto che DAlema riconosce dannosa al Paese, anche se poi ha goffamente precisato, in verità, di avere voluto alludere solo alle sue frange più estreme, si era messa fuori gioco nellautunno del 1998 facendo cadere anche il primo governo Prodi. Per farla uscire veramente dal campo sarebbe bastato andare subito alle elezioni anticipate, come avrebbero voluto daltronde lo stesso Prodi e il suo vice di allora, che era Walter Veltroni.
Invece DAlema, purtroppo con laiuto del sempre imprevedibile Francesco Cossiga, che ancora se ne vanta, preferì la manovra corta della sua successione a Prodi a Palazzo Chigi. E risparmiò alla Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti, procrastinando di due anni e mezzo il ricorso alle urne, quel salasso elettorale che meritava, e che avrebbe potuto giovare alla sinistra davvero riformista. Non contento di avergli risparmiato le elezioni anticipate, DAlema si è poi prodigato per il recupero politico di Bertinotti e, più in generale, di tutta larea antagonista, tornata infatti a pieno titolo, e più forte di prima, nelle coalizioni elettorali e di governo di sinistra-centro. Della sua condiscendenza verso una «certa» sinistra il ministro degli Esteri ha dato prova anche nella difesa un po anomala che ha fatto al Senato della partecipazione italiana alla contestatissima missione militare in Afghanistan. Egli lha motivata con la necessità non di piegare finalmente i talebani, che si preparano peraltro ad una pericolosa offensiva, ma dincidere di più allinterno della Nato e dellOnu per edulcorare forme e finalità dell'intervento internazionale.
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