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Quando l'Italia si innamorò dell'indagatore dell'incubo, l'antieroe Dylan Dog

L'ascesa di Dylan Dog, l'indagatore dell'incubo della Bonelli che divenne un autentico fenomeno senza precedenti nel mondo del fumetto italiano

Quando l'Italia si innamorò dell'indagatore dell'incubo, l'antieroe Dylan Dog

Immagina di entrare in un’edicola sul finire del 1986 e in mezzo alla pila di quotidiani, fotoromanzi, riviste e ammennicoli vari, pescare questo albo tutto nuovo ed essere colpiti da un'epifania. Il neonato fumetto della Sergio Bonelli Editore, non è il celebrato Tex, bensì Dylan Dog. Un nome anglosassone ma un padre tutto italiano: Tiziano Sclavi. Dietro alla patina horror si nasconde molto di più e in pochi, durante quei giorni, avrebbero scommesso su quelle cento pagine in bianco nero. Invece, Dylan riuscì a scalare le classifiche e a fare breccia nei cuori dei lettori diventando un assoluto fenomeno tanto generazionale quanto commerciale. Un nuovo eroe in grado di dare voce a chi una voce ancora non ce l’aveva, un megafono per parlare delle inquietudini di una società che, inevitabilmente, stava mutando e che non poteva esimersi dall’indagare l’incubo dietro alle vite di tutti noi.

L’antieroe alla riscossa

Dylan Dog esce dalle fucine della Bonelli in punti di piedi. Un po’ perché l’horror è un genere spigoloso, non per tutti, un po’ perché il grande editore italiano ha già altri totem da custodire con cura. Si tratta dunque di un esperimento, un banco di prova affidato a una persona talentuosa ed eccentrica, come Tiziano Sclavi, già sceneggiatore di Zagor, Mister No e Ken Parker. Originariamente il fumettista pavese avrebbe voluto generare una serie per adulti intitolata – si dice, perché la conferma non è mai arrivata - “Nightmare”, come il famoso film diretto da Wes Craven. Ricevuto un semaforo rosso, egli riversa le sue energie su Dylan Dog. Modella la fisionomia del suo protagonista sull’immagine dell’attore Rupert Everett, bello e malinconico, affidandogli una spalla bizzarra e dall’alto tasso comico come Groucho, il sosia di Groucho Marx. Le vicende vengono proiettate in una Londra contemporanea ma gotica, cupa e nebbiosa. Una capitale del mondo dove si annidano mostri e incubi, reali e paranormali.

Dylan, omaggio al poeta Dylan Thomas amato moltissimo da Sclavi, non ha i connati dell’eroe canonico, neppure per la Bonelli. Tex, ad esempio, è un autentico condottiero, dal coraggio scintillante ed è senza macchia. Tutto il contrario dello spiantato indagatore dell’incubo britannico, che si discosta dall’immaginario collettivo e, anzi, ha tutte quelle caratteristiche che sono comuni agli antieroi. È stato cacciato da Scotland Yard, ha un passato da alcolista, soffre di vertigini e ha difficoltà ad arrivare a fine mese e a pagare l’affitto. Figuriamoci a retribuire il suo assistente, che vive con lui in un appartamento polveroso e sgangherato, pieno di cimeli grotteschi e inquietanti. Non ha un bel cavallo sul quale saltare in sella verso orizzonti luminosi, ma un vecchio Maggiolino malconcio che fa più capricci che altro. Suona il clarinetto ma riesce a eseguire una sola sinfonia, “Il trillo del diavolo” di Giuseppe Tartini, e non hai mai completato la costruzione di un antico galeone. Insomma, è una persona vera e autentica, fragile e introspettiva, ironica e a tratti maldestra. Proprio come noi.

L’anima di Dylan Dog

La forza di Dylan Dog risiede proprio nella ventata di aria fresca che si respira nelle sue storie, che hanno uno sviluppo quasi cinematografico per tempi, ritmi, immagini e sceneggiature. Le vicende sono, per lo più, autoconclusive ma la sensazione è che albo dopo albo il mondo di Dylan Dog riesca ad avere una coerenza e una connessione invidiabile. Dietro alla maschera horror si cela qualcosa di più spaventoso, una realtà spesso crudele e ingiusta, ricca di paure e solitudini, dove il mostro è l’uomo e non la creatura fantastica. Il tratto sensibile dell’autore, poi, è qualcosa di inedito, non solo per il fumetto italiano, perché stimola la riflessione e ci fa guardare l’anima interiore, nostra e altrui. Una ricetta irresistibile, specialmente per quei ragazzi di fine anni ’80 e inizi anni ’90 del secolo scorso, cresciuti in una società del benessere che stava cambiando e che non stava percependo le loro inquietudini.

Dylan Dog

Il fenomeno commerciale

La creatura di Tiziano Sclavi e della Bonelli spicca il volo. Se tutto è iniziato con l’Alba dei morti viventi, il primo capitolo dell’ottobre 1986, è nel 1990 che si assiste alla crescita di un fenomeno su scala nazionale, quando si sfonda la barriera delle 185.000 copie per il numero 43, intitolato Storia di Nessuno. Il meglio, però, deve ancora venire. Alla serie regolare si aggiungono, ristampe e seconde ristampe, vari albi speciali e nel 1993 si toccano persino le 530.000 copie, spaventando sua maestà Tex Willer che si trova assediato dal nuovo eroe londinese in giacca scura, camicia rossa, jeans e Clark’s ai piedi.

Il personaggio travalica i confini delle edicole e diventa un mito. Il passaparola è irresistibile e come un morbo, Dylan Dog si diffonde di mano in mano. Si legge sottobanco a scuola, sul treno e prima di dormire con la luce della abat-jour coricati nel letto. Se ne parla in televisione e sui giornali, mentre il merchandising dilaga. In fondo, le sue tematiche sono attuali, forti e sa comunicare in modo franco ai suoi appassionati lettori. Gli anni ’90 sono la sua epoca d’oro, un periodo in cui l’Italia del fumetto ha saputo offrire un prodotto originale e carismatico, invidiato anche al di fuori dei confini dello Stivale.

Un nuovo corso

Venendo a oggi Dylan Dog è ancora in attività, indaga sempre sull’incubo che non abbandona le nostre vite. Gli affari vanno come al solito, pochi soldi in tasca anche se la sua parcella è aumentata. L’inflazione non fa sconti a nessuno. I fedelissimi non mancano e la sua schiera di irriducibili fa un pellegrinaggio regolare nelle edicole ogni mese. Purtroppo, la crisi dell’editoria, della carta e pure della creatività ha inciso non poco sulle alterne vicende del nostro investigatore che, sì, tiene botta nonostante tutto, anche se i tempi dorati restano un amabile ricordo. Il recente corso, firmato da Barbara Baraldi, ha ridato una verve e una freschezza inaspettata all’eroe bonelliano, capace di darci ancora momenti di riflessione, oltre che di evasione.

Il grande e compianto Umberto Eco, una volta disse: “In un’isola deserta mi porterei Dylan Dog”. Un attestato di stima profonda e un consiglio valido anche attualmente, "Giuda Ballerino!".

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