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Dai musicarelli a «Jolly Blu» Quando le canzoni fanno ciak

Venditti (4 volte) tra i più saccheggiati. Verdone: «È solo un segno di pigrizia»

Prendi una canzone famosa e ci fai il titolo del film: anche a prescindere o per contrasto. Spesso funziona, talvolta no, intanto ci si prova. Sempre che l'autore non protesti, come capitò a Venditti dopo Notte prima degli esami, Questa notte è ancora nostra e Ricordati di me (rifatta ex novo lasciando lo stesso titolo). Così, mentre esce Albakiara, Daniele Costantini ha già pronto Amore che vieni, amore che vai e Riccardo Donna sta finendo Questo piccolo grande amore. Il primo, in verità, doveva chiamarsi Bocca di rosa, ma l'allusione deve esser parsa pesante, meglio ripiegare su un De André più lieve e romantico. Il secondo s'è trasformato, tra qualche tensione, in un'operazione multimediale che vedrà Baglioni protagonista della scena, con annessi cd e tour.
Non che il trucco sia nuovo. Film e canzoni - pensate all'Elvis Presley di Jailhouse rock o Love me tender - hanno sempre marciato d'amore e d'accordo, sorreggendosi a vicenda. Specie quando erano i cantanti stessi a improvvisarsi attori negli inguardabili «musicarelli» anni Sessanta: fossero il Morandi di Non son degno di te, la Caselli di Nessuno mi può giudicare o l'Al Bano di Nel sole. Del resto, nel 1998 non fece qualcosa del genere Max Pezzali degli 883 col dimenticabile Jolly Blu? Solo che oggi il fenomeno sta assumendo nuovi contorni. Per via dei produttori stessi, sempre alla ricerca di titoli capaci di pescare nella memoria collettiva. Non sarà stato il caso di Marrakech Express, by Crosby, Stills & Nash, che Salvatores elesse a inno generazionale per uno dei suoi primi film, ma di sicuro ha funzionato per Notte prima degli esami di Frizzi. Magari è pure colpa del vezzo tutto morettiano di piazzare una canzoncina nei film per cantarci sopra, sin dai tempi di Bianca, quando il futuro regista del Caimano rilanciò Insieme a te non ci sto più della Caselli, facendo subito il bis con E ti vengo a cercare di Battiato per Palombella rossa. Un verso di Insieme a te non ci sto più, cioè Arrivederci amore, ciao, di recente ha dato il titolo a un fosco noir di Michele Soavi; mentre Ma il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano, senza il «ma», fu adoprato da Antonello Grimaldi per un suo curioso film a storie intrecciate.

Però l'amabile refrain alla fine si sentiva; a volte, invece, l'effetto-richiamo è affidato solo al titolo, orfano della canzone stessa: vedi Mio fratello è figlio unico di Luchetti o Ma che colpa abbiamo noi di Verdone. Il quale, pur distinguendo, riconosce trattarsi di «mere furbacchionate»: «Un segno di pigrizia, nella speranza di acchiappare i giovani, i soli che oggi riempiono le sale». Viva la sincerità.

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