Dai rubli di Mosca alle maxitangenti: così la sinistra si pagava la «diversità»

Nella Prima Repubblica il Pci riuscì a propalare la favola del finanziamento garantito dalle salamelle delle feste dell’Unità, poi arrivò «Mani pulite»

Va bene separare i fatti dalle calunnie, ma allora anche la Storia dalle favole. Ieri, sul Corriere della Sera, l’ha detto anche il sociologo di sinistra Luca Ricolfi: «Ritengo normale che Fassino chieda informazioni a Consorte sulla scalata alla Bnl, ma da cittadino trovo sgradevole quando fa la parte della verginella». Resta che su Blob in questi giorni stanno ripiazzando immagini di Primo Greganti, e un senso c’è: perché il popolo della sinistra, già allora, nel 1993, decise di non voler vedere Greganti per quello che era, il Partito per quello che era: quell’uomo rappresentava una verità troppo banale perché potesse rovinare la storia passata e futura che avevano in mente. Diversi? Ai tempi le certezze vacillarono quando spuntarono un paio di conti in Svizzera: perché il popolo della sinistra procede o s’arresta per parole chiave, può sopportare i bombardamenti jugoslavi del governo D’Alema ma non la parola «banca», può perdonare lo speronamento di una chiatta di albanesi ma non l’espressione «barca a vela», e insomma a Greganti, ai tempi, dovette infine chiederlo Michele Serra su Cuore: «Scusa, ma perché avevi i conti in Svizzera?». La risposta, quella vera, giunse tardiva e fu anzitempo seppellita da formidabili solidarietà ambientali, magliette, feste, mitizzazioni di un Primo Greganti che certo non ebbe lo status dell’equivalente pidiessino di un Balzamo e di un Citaristi: anche se a leggere bene le carte, invero, pareva proprio l’equivalente pidiessino di un Balzamo e di un Citaristi. Nella sentenza del processo Enel, per esempio, si citeranno «contribuzioni sistematiche dagli imprenditori al pari degli altri partiti» e si spiegherà che «Greganti è il fiduciario del Pci pronto a mettere a disposizione i propri conti per le esigenze lecite e illecite del partito... non per prestazioni personali, ma a vantaggio del Pci».
Differenze? Un barbuto presidente di una coop era sicuramente meno intrigante di un cassiere socialista in crociera a Bora Bora, ma diverse furono in realtà altre cose, lo fu un sistema di finanziamento illecito più difficile da individuare, lo fu che le elargizioni dall’Urss e le commesse dall’Est erano sommerse e in buona parte rientravano nei reati amnistiabili, ma diversa fu soprattutto, in quel 1993, la gestione di Mani pulite da parte di un pool che sceglieva gli obiettivi a seconda delle possibilità del momento, e che soprattutto adottava una tattica che Francesco Saverio Borrelli definì «Blitzkrieg», «la guerra lampo tipica degli eserciti germanici», come disse in un’intervista per il libro Mani pulite, la vera storia, «che fu usata anche nello sfondamento di Caporetto: penetrazione impetuosa su una fascia molto ristretta di territorio, lasciando ai margini le sacche laterali, le più difficili da sfondare. Di Pietro agiva allo stesso modo: tendeva ad arrivare molto rapidamente ad assicurarsi determinati risultati certi, lasciando ai margini una quantità di altre vicende da esplorare in un secondo momento». Cosicché i risultati giunsero, quando giunsero, in un secondo momento: ma dal 1994 in poi la stampa già pensava ad altro.
Percettori finali. Le carte che dimostrano come il Pds si finanziò in maniera illecita diventavano migliaia in tutto lo Stivale, e da altrettante sentenze si evinceva tuttavia che nel Pci-Pds, più che per altri partiti, la raccolta di fondi risultava periferizzata, parcellizzata e soprattutto spersonalizzata. I nomi dei percettori finali non comparivano quasi mai. Il Pds poteva contare sul mitico sistema cooperativo ma casi moralmente riprovevoli come quelli emersi in Campania (commistioni coop-camorra nell’aggiudicazione degli appalti) non fecero notizia più di tanto, mentre non si poteva negare che una scelta oculata di uomini di fiducia cui intestare interi patrimoni immobiliari fu premiata da comportamenti processuali poco solleticabili dal carcere. Il magistrato Francesco Misiani, nel libro La toga rossa, la mise così: «So perfettamente che se avessi insistito, forse, prima o poi, sarei riuscito a dimostrare in un’aula di tribunale che il Pci non era estraneo al circuito di finanziamento illecito... non lo feci, consapevole anche del fatto che la resistenza anche a lunghi periodi di detenzione, dimostrata dagli indagati, forniva anche un ineccepibile dato formale in grado di chiudere le inchieste». Ciò mentre Italo Ghitti, il gip di Mani pulite, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2002, disse che il Pds non aveva un apparato di finanziamento illecito poi meno vorace: «La storia di Mani pulite non ha esaurito e non esaurisce la storia: qualcuno si sarà anche potuto salvare da accuse di corruzione, ma magari ha dovuto lasciare la sede di partito, vendere il giornale, chiudere l’azienda... il tempo ha evidenziato come, al di là dei fatti penalmente rilevanti, vi fossero realtà che adottavano praticamente lo stesso metodo dei partiti più coinvolti». Difficile non ripensare alla vendita di Botteghe Oscure, dell’Unità, al ridimensionamento della macchina organizzativa pidiessina: notoriamente la più dispendiosa della Prima e forse anche della Seconda Repubblica. Solo che nella Prima resse la leggenda delle salamelle del Festival dell’Unità; nella Seconda si scalano le banche. Nell’attesa di una necessaria seduta di autocoscienza, c’è qualche carta (solo qualcuna) da rispolverare.
Enel e Metropolitana. Il filone legato all’energia indica chiaramente che la spartizione a livello nazionale era tra tutti i partiti. Il manager Lorenzo Panzavolta parlò di tre tangenti di un miliardo e 242 milioni ciascuna a Dc, Psi e Pci: l’1,6 per cento sulle commesse assegnate al gruppo Ferruzzi. Spiegò che un tempo il Pci si limitava a pretendere che una quota degli appalti fosse assegnata alle cooperative rosse, ma dal 1986 la Ccc di Bologna puntò ad allargare il proprio mercato sicché il pidiessino Giambattista Zorzoli entrò nel consiglio d’amministrazione dell’Enel. Panzavolta versò 1 miliardo e 246 milioni sui conti svizzeri di Greganti. Quest’ultimo sarà condannato a 3 anni, Zorzoli a 4 anni e 3 mesi: corruzione e finanziamento illecito al partito: «Le somme non sono state incassate da Greganti per prestazioni personali, bensì vanno collegate a un’intermediazione fiduciaria posta in essere da quest’ultimo a vantaggio del Pci».
Per gli appalti legati alla costruzione di impianti di desolforizzazione, in particolare, serviva una nuova legge e che il Pci perlomeno assicurasse il numero legale in aula. Raccontò ancora Panzavolta: «Dissi a Greganti: se lei può dire ai suoi parlamentari... Allora Greganti si adoperò e difatti la legge venne poi approvata, perché il numero c’era.

Il Partito comunista votò contro questa disposizione, però era sufficiente la loro presenza per farla passare. E Greganti venne da me e disse: “Vede che io conto, vede che riesco a ottenere queste cose?”».
(1.Continua)

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