Un effetto collaterale del colpo di mano quirinalizio, che imponendo Mario Monti a palazzo Chigi ha sparigliato le carte del mazzo rosso, è la ricomparsa sulla sceneggiata politica di un D’Alema in grande spolvero. Un D’Alema che percependo di nuovo il profumo di quel potere che logora chi non l’ha (in quanto appartenente alla nomenclatura del Pd da un pezzo ne è privo, ciò che lo fa logoratissimo) bonifica il terreno sul quale lascia intendere di voler tornare a battere. E così, intervenendo in un convegno messo su da ItalianiEuropei, la fondazione di famiglia (tema: il contributo dei partiti politici alla formazione dell’identità nazionale. Scelto dagli eredi diretti del Pci, partito internazionalista nemico di ogni nazionalismo e con qualche penchant per il sovietismo, fa ridere) ha voluto menare una botta all’ala rottamatrice del partito che non ne vuole sapere dei vecchi carampani (ivi compreso D’Alema e anzi, soprattutto lui) e del loro spirito di casta che alimenta il sentimento dell’antipolitica. «La casta?- ha buttato là- È un termine che compare per la prima volta nel lessico delle Brigate Rosse. Conviene ricordarle, certe cose... ».
Veramente, ben prima che le Br irrompessero con le loro P38 colpo in canna, uno stuolo di giornalisti di stampo liberale, da Prezzolini a Longanesi, da Panfilo Gentile a Indro Montanelli, ricorsero a quel vocabolo per additare la classe politico-istituzionale che ritenendosi diversa e separata dagli altri si attribuisce, brevi manu , speciali diritti e privilegi. Talvolta, occorre precisare, definendola cricca, ma non per questo mutandogli il senso. Poco importa: D’Alema non è nuovo a questi giochetti, che rappresentano poi il nerbo della sua dialettica da retore di provincia. Conta invece che con quelle parole abbia voluto difendere la sua appartenenza alla casta e la casta medesima. Dando dei brigatisti, cioè terroristi,nemici dell’ordine costituito, sovversivi, assassini, a quanti ne fanno critica ritenendola un cancro della società o, nella migliore delle ipotesi, un’accolita di furbastri e parassiti. Ed è in questa difesa che emerge a tutto tondo la natura di D’Alema:appagato dall’appartenere a un circolo di privilegiati e persuaso che i privilegi siano il prezzo che il popolo bue deve pagare per disporre,nell’empireo politico, di cervelli finissimi, di profondi pensatori,di giudici infallibili nell’indicare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, di skipper eleganti e talentuosi quale egli è. Il prezzo per mantenerlo come è giusto che sia, senza obbligo di cartellino, ma diciamo pure senza lavoro da una vita eppure lautamente retribuito e con una mole di benefici a carico che comprendono anche i voli scroccati alla Rotkpof (purché se ne approfitti ignorando - anche se la legge non ammette ignoranza- che ciò costituisce reato. Come da sentenza del pm Paolo Ielo).
Brigatisti, dunque, sarebbero quanti avversano la casta. E anche fessi, perché questo traspare dall’autodifesa dalemiana. Fessi per il solo motivo di esserne fuori, fessi come agli occhi dell’evasore fiscale sono fessi quanti pagano puntualmente le tasse. Fessi come chi fa regolarmente la fila, chi non arrotonda il conto spese, chi non si mette in malattia quando c’è il derby, chi restituisce al proprietario il portafogli trovato. È assai probabile che l’intemerata di D'Alema non metterà la tremarella a Matteo Renzi e al moto anticasta.
Quel che è certo, per la sfrontatezza di D’Alema nel difendere prerogative e vantaggi economici, chi si ringalluzzirà è l’antipolitica (ma per fortuna c’è in circolo l’antidoto: l’inutile governo tecnico e quindi gloriosamente non politico di Mario Monti).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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