Il deficit è il vero ostacolo alla crescita dell’Italia

Nel 1949, Alcide De Gasperi disse: «Politica vuol dire realizzare». Ormai da quindici anni l’Italia attraversa una fase definita di transizione. Fra i grandi Paesi che costituiscono il club degli Otto, l’Italia è l’unico che ha istituzioni instabili, governi precari, regole della politica incerte. Siamo ormai incapaci di realizzare un cambiamento sempre annunciato e sempre sospeso. Questo vuol dire che c’è un vuoto di politica, ormai troppo lungo e pericoloso. Un vuoto che sta suscitando un sentimento diffuso di disistima verso i partiti, nel quale si mescolano rassegnazione, vecchie sub-culture qualunquiste e suggestioni populiste nuove. A questo punto abbiamo tutti due possibilità. Continuare ad accusarci a vicenda, addebitandoci l’un l’altro il malgoverno degli ultimi quindici anni. Ma sarebbe un atto di incoscienza. La seconda possibilità richiede alla forze della maggioranza e a quelle dell’opposizione un atto di realismo e perciò stesso di coraggio.
Il debito pubblico è cresciuto negli ultimi quindici anni, nonostante le politiche di contenimento attuate a singhiozzo dalle diverse maggioranze. La spesa pubblica allargata, comprensiva di tutto il denaro amministrato e speso negli enti locali, e nelle aziende pubbliche autonome è fuori controllo giacché gli strumenti di programmazione delle uscite sono diventati una sorta di omnibus sul quale salgono tutte le esigenze anche le più contraddittorie. È necessario invece partire dalla reale situazione di bilancio. Questo atto di buon senso deve essere preceduto da un atto di volontà politica volto ad un ragionevole contenimento della spesa corrente per reperire le risorse necessarie agli investimenti. Mantenendo inalterati i ritmi di crescita della spesa bisogna reperire risorse attraverso il prelievo fiscale, giacché è ormai impossibile alimentare la spesa facendo crescere il debito: per i vincoli dell’Unione Europea e per le reazioni dei mercati finanziari.
Solo diminuendo la spesa corrente è possibile reperire le risorse per lo sviluppo. Ma i fatti hanno dimostrato che il groviglio degli interessi e la moltiplicazione dei centri di spesa, rende di fatto impossibile un’operazione di tale imponente portata, senza il sostegno di un ampio arco di forze politiche.
Credo che sia ragionevole iniziare la riqualificazione alla spesa attraverso l’adozione di un autentico federalismo fiscale: questa è la via per dare contenuti alle autonomie. Ma anche per evitare il disordinato aumento alla spesa corrente, ponendo a Regioni, Province, Comuni, Comunità montane etc. vincoli precisi nel rapporto tra spesa corrente ed investimenti produttivi. Naturalmente si tratta di rivedere la riforma dell’articolo V della Costituzione, per completarla (con il federalismo fiscale) e migliorarla. Nessuno dovrebbe trascurare, infatti, che la ripartenza del «sistema Italia» non può esserci senza risolvere la sua più importante anomalia: la montagna del debito pubblico. Non è inutile aggiungere che solo con la revisione della riforma del Titolo V è possibile ridurre in modo certo i costi della politica.
In realtà, tutte le decisioni sull’aggiornamento della Costituzione richiederebbero una convergenza ampia delle forze di maggioranza e di opposizione. Propongo di partire dalla questione più urgente, quella del reperimento stabile di risorse da destinare allo sviluppo.

Potrebbe essere questa l’ultima occasione per ridare un senso all’attuale legislatura. Torno a ripetere le parole di De Gasperi: «Politica è realizzare». Nessuno ora può permettersi l’inerzia dell’attesa.
*Vice presidente del Senato

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