«A sinistra troppa gente sta diventando isterica?», si chiede - da sinistra - Giampaolo Pansa, sempre più incline a pensare che la risposta sia sì. Davvero è ancora così diffuso l’odio di parte? Davvero si rischia un ritorno ai plumbei anni Settanta? E perché alcuni «fanatici» rifiutano di riconoscere dignità a una destra che nel Paese pur essendo maggioranza politica culturalmente è ancora confinata in un ghetto?
Per il filosofo e politico Massimo Cacciari tutto ciò è un falso problema: «Casi di intolleranza esistono da una parte come dall’altra, a cominciare dai rom che vengono emarginati dai leghisti. È un fatto di civiltà e di cultura, non politico. E l’egemonia culturale della sinistra è solo una spassosa leggenda. Non esiste e non è mai esistita. Esistono soltanto scienziati e storici seri che ragionano sulle idee, da un lato - e Pansa non è tra questi - e una massa di persone che spacciano ideologie, dall’altro. E questo a destra come a sinistra, ieri come oggi. Tutto qui». E per lo storico marxista Luciano Canfora non è nemmeno un falso problema, solo un’errata percezione: «Quella di Pansa è una campionatura casuale, che non ha un valore sufficiente a ricavarne una regola. Dipende dagli ambienti che si frequentano: in un centro sociale si troveranno più voci critiche di Berlusconi di quante se ne possano trovare in prima classe sull’Eurostar. Non c’è nulla di insolito né di preoccupante».
C’è invece qualcosa di consueto e pericoloso per il filosofo Giovanni Reale: «Il concetto espresso da Pansa è verissimo: è il vecchio atteggiamento dell’uomo che per paura non ammette idee diverse dalle proprie. È sempre successo. E in questo, per quanto la cosa accada ovunque, la sinistra ha alle spalle una tradizione “nobile”: ricordo bene quando ancora vent’anni fa il Pci, che politicamente non è mai stato dominante ma culturalmente sì, proibiva i miei libri nelle scuole, mi bandiva dalle conferenze e dalle università, fino a mettere all’indice il volume di storia della filosofia Reale-Antiseri. Oggi le cose sono cambiate, certo. Ma sopravvive ancora questo atteggiamento irrazionale di non voler accettare il diverso. Una dinamica di per sé bipartisan, che vale a destra come a sinistra, ma che in questo momento trova un terreno fertile nel campo avverso a Berlusconi, un uomo che per un certo mondo è il “diverso da sé”, un nemico da temere e da condannare. Come aveva già visto chiaramente nel 1943 Jean-Paul Sartre nel suo dramma Porta chiusa, “l’inferno sono gli Altri”».
A volte è vera intolleranza, ma più spesso si tratta di una emarginazione che veste i panni ancora più sudici del disprezzo o della indifferenza verso la cultura “di destra”. È lo snobismo spocchioso dell’intellighenzia liberal, progressista, “migliore”. Per lo storico Roberto Chiarini in fondo è sempre stato così: «Trovatemi anche un solo libro di storia del Novecento italiano che citi, chessò, un articolo della rivista di Renzo De Felice, o di Francesco Perfetti. Oggi dico, non trent’anni fa. In questo senso, dal punto di vista strettamente culturale, la destra non è mai esistita, e non esiste neppure ora. Io non so se ultimamente la situazione si sia aggravata, non ho prove per dirlo, ma di certo non è migliorata rispetto al passato. Anche nella civile, tollerante e pluralista Lombardia certi giornali - non dico Libero che è considerato qualcosa di folkloristico - sono ritenuti fascisti. Il paradosso è che la gente “semplice” li trova anche interessanti, la gente “acculturata” invece fogliacci di cui vergognarsi. Il motivo? La nostra classe intellettuale, dalla Resistenza in avanti, ha costruito sulla pregiudiziale dell’antifascismo - a volte a ragione a volte marciandoci sopra - il dogma che la loro sia la parte migliore. Sempre e comunque. A partire dall’opera dello stesso Luigi Einaudi, tutto ciò che nella cultura italiana non scorreva nell’alveo del grande fiume che sfocia nell’estuario della “libertà” e della “felicità” socialista, era - ed è - indegno di far parte della Storia. Si è trattato di una delle operazioni tragicamente più lucide e più proficue dal punto di vista politico mai verificatesi in un Paese occidentale. Di cui paghiamo ancora le conseguenze».
E mentre un intellos moderato come Lucia Annunziata non ne fa una questione di “parte” - «Quando vado a Napoli i tassisti mi gridano dietro “Viva Berlusconi” e di recente al ristorante Fortunato Al Pantheon, a Roma, un signore è venuto al mio tavolo a dirmi “comunista schifosa”... La verità è che tutti siamo vittime dell’intolleranza altrui. È la destra semmai a essere ossessionata dalla discriminazione» - un intellettuale disorganico come Marcello Veneziani questa faziosità strisciante la avverte ogni giorno, eccome: «È un’intolleranza nuova, che non ha nulla a che fare con quella degli anni Settanta. L’attuale bipolarismo ha prodotto un settarismo ideologico che finisce per rifiutare tutto ciò che rappresenta in senso lato la cultura di “destra”. Il guaio è che la politica del centrodestra - per paradosso maggioritaria - non aiuta a superare questa tensione, ma spesso con i suoi comportamenti la alimenta». Sostanzialmente è la stessa analisi di un politologo raffinato, ormai al di sopra degli schieramenti, come Marco Tarchi: «Il problema è che quando un sistema politico viene instradato sui binari del bipartitismo in un Paese ancora immaturo, perché abituato da anni ad avere un ventaglio di scelte politiche molto più ampio, è facile che si verifichino situazioni di frizione. E in questo senso i risultati delle ultime elezioni hanno solo peggiorato il “muro contro muro”, esasperando gli animi di coloro che non si sentono più rappresentati. Così la logica del “o noi o loro” finisce con l’inasprirsi.
Con un distinguo importante, però. Che per tradizione gli elettori di destra sono inerti e meno disposti a mobilitarsi. Mentre la sinistra, da decenni abituata alla mobilitazione e alla piazza, tende alle manifestazioni di protesta più plateali».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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