Il diario dei medici del carcere: «È lucida»

Stefano Lorenzi: «In primo grado si è già dimostrato che mia moglie non è pazza. Non si farà più interrogare»

nostro inviato a Torino

Verranno interrogati pure loro: Lucia Casalaro, medico della sezione femminile delle Vallette, e Elvezio Pirfo, psichiatra nello stesso penitenziario. Erano alle Vallette il 14 marzo 2002 quando Anna Maria Franzoni fu arrestata. Compilarono un diario clinico, giorno per giorno, fino al 30 marzo. Quelle pagine descrivono una persona normale, anche se non mancano i momenti di crisi. Quelle note serviranno ora per comporre quel puzzle chiamato perizia psichiatrica.
«Quattordici marzo. Visita psichiatrica. Accessibile e disponibile al colloquio. Appare lucida, vigile, normo orientata. Non mostra alcuna reticenza nella ricostruzione della vicenda giudiziaria.. È capace di formulare giudizi articolati e coerenti al discreto grado di acculturazione. Non emergono alterazioni della forma del pensiero». Si decide «di piantonarla a vista in regime di massima sorveglianza», lei rifiuta gli psicofarmaci: ci tiene ad «essere vigile perché l’aspettano tanti interrogatori». Il 15 marzo Pirfo e la Casalaro hanno un nuovo incontro con la detenuta: «Il pianto che caratterizza l’intero colloquio non sempre corrisponde ad un reale vissuto d’angoscia soprattutto nella assoluta mancanza di criticità rispetto al presente e alla detenzione. L’impressione è di una persona che vive, ad un tempo, la propria tragedia come reale e irreale senza riuscire a trovare spiegazioni razionali. Il ripetere minuzioso degli avvenimenti sembra utile a “ricordare” sempre nello stesso modo, rifiutando qualsiasi tentativo di modificare le proprie chiavi di lettura».
Anna Maria ha una personalità forte, però ha un crollo: «La detenuta presenta tremori alle braccia e alle gambe, articola male le parole, trattasi di verosimile crisi isterica». La pziente viene sedata e ritrova la tranquillità. Anzi, il 19 è «calma e tranquilla, molto curata nell’aspetto, si rivolge sorridente e ringraziando medico e infermiera». E il 20 va all’attacco: «La detenuta ha voluto parlare della sua situazione giuridica e del ricordo del suo figlio mancato piangendo con dispiacere forte (apparentemente). Pare piangere dispiaciuta, affermando il sospetto nei confronti di una persona e spera di far uscire la realtà a galla facendo pagare a chi ha commesso questo gesto». Il 23 marzo «parla volentieri della sua famiglia d’origine che sente molto vicina e che sembra essere una famiglia co. Non si sente descritta con giustizia dai giornali, non si riconosce assolutamente nei ritratti fatti.

Arrivano anche lettere di sostegno di cui è molto soddisfatta». Il 25 marzo nuova crisi: «La detenuta inizia a piangere con una crisi isterica, inizia a parlare del bambino, del ricordo di come l’ha trovato, del fatto che non può vivere senza di lui».

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