«Dickens? L’ho cercato nelle fumerie d’oppio»

«I romanzi a puntate di Dickens ebbero un immenso successo, che in un caso provocò addirittura una tragedia a Baltimora. Sul fronte del porto si era riunita una nutrita schiera di dickensiani nella febbrile attesa dell’arrivo di una nave inglese con le copie dell’ultima puntata de La bottega dell’antiquario. Si racconta che molti aspiranti lettori furono involontariamente sospinti in acqua e morirono annegati».
Con questo drammatico aneddoto il maestro del brivido Stephen King, nell’introduzione al suo Il miglio verde, nel 1995, raccontava ai suoi lettori quali potessero essere le vicissitudini che appassionavano i lettori alle prese con la spasmodica attesa di leggere il nuovo episodio di un romanzo a puntate e soprattutto spiegava quanto stretto fosse stato il rapporto fra i fans americani e un autore come Dickens.
Nel recente bestseller Il ladro di libri incompiuti (traduzione di R. Zuppet, Rizzoli, pagg. 482, euro 21.50) lo scrittore americano Matthew Pearl (che già con successo aveva esplorato misteri legati a Longfellow ne Il circolo Dante e a Poe ne L’ombra di Edgar) si diverte a indagare su Il mistero di Edwin Drood, immaginando cosa sarebbe potuto succedere se i capitoli mancanti di quell’opera incompiuta di Dickens fossero andati perduti in circostanze misteriose e se per il finale di quell’opera ci fosse stato qualcuno disposto persino ad uccidere.
Quanto di reale c’è tra le pagine de Il mistero di Edwin Drood?
«Dickens traeva sempre ispirazione dalla vita reale. Per scrivere quel romanzo sappiamo che visitò varie fumerie d’oppio in giro per Londra. Così come sappiamo che ebbe occasione di incontrare una donna molto simile al personaggio di Princess Puffer che gestisce la fumeria. Ed è probabile anche che sulla scomparsa di Edwin Drood lo abbiano ispirato casi reali di sparizione dell’epoca».
Ma come riuscì Dickens a penetrare in luoghi così oscuri e pericolosi come le fumerie?
«Chiese a un suo amico poliziotto di accompagnarlo nelle due maggiori fumerie di Londra e registrò tutte le sue impressioni sul suo diario. Dickens, che iniziò la sua carriera come giornalista, aveva amici sia tra i poliziotti sia tra coloro che lavoravano in tribunale. E questo gli permise di essere sempre ben informato».
In Oliver Twist e David Copperfield sembrerebbe emergere una conoscenza specifica del mondo criminale...
«Sebbene Dickens non abbia mai scritto dei veri e propri mistery era interessato a comprendere la mente criminale. Questo elemento è legato in parte ai suoi ricordi di quando suo padre venne imprigionato per debiti e lui stesso si trovò ad andarlo a trovare in prigione. Al contrario di molti scrittori che sono cresciuti in ambienti privilegiati, Dickens si relazionò per tutta la vita con tutti i livelli della società in cui viveva e questo l’ha aiutato a diventare un autore popolare».
Ma Dickens credeva nelle storie di fantasmi come quelle racchiuse nel suo Canto di Natale?
«Da una parte era un uomo razionalista e come scrittore prediligeva lo stile realistico. Dall’altra era una persona molto spirituale e credeva che ci fossero strani legami tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Aveva lui stesso sperimentato l’ipnotismo e lo considerava una prova della presenza di elementi spirituali nel mondo».
La risposta del pubblico americano a Il mistero di Edwin Drood fu davvero così incredibile come lei la descrive nel libro?
«Gli americani furono (e lo sono ancora) incredibilmente affascinati dalle opere di Dickens, e in particolar modo dal finale de Il Mistero di Edwin Drood. Ci furono anche molti tentativi di cercare di scoprire se il finale non fosse stato nascosto da qualche parte in un manoscritto lasciato dall’autore, oppure non fosse stato criptato all’interno del testo stesso».
Cosa rende più misterioso questo romanzo, la sua trama o il fatto che sia incompiuto?
«Direi che è una strana combinazione fra i due elementi. Ci sono state in passato molte persone che hanno cercato di dare una spiegazione finale a questo mistero e alcuni hanno persino sostenuto che fosse apparso loro lo stesso Dickens sotto forma di fantasma per raccontare l’epilogo della storia».
Ma potrebbe davvero esserci qualcuno disposto ad uccidere per entrare in possesso di quei capitoli finali?
«Se questi ultimi capitoli esistessero realmente avrebbero un valore inestimabile, quindi immaginatevi cosa potrebbe fare qualcuno pur di impadronirsene. Ma visto che nessuno li ha mai ritrovati, fantasticare cosa sarebbe successo se fossero stati rintracciati non poteva che essere uno spunto perfetto per un romanzo di fiction».
Ha per caso letto la soluzione finale che Fruttero e Lucentini hanno dato al romanzo incompiuto di Dickens?
«Certo. La verità sul Caso D. è un libro che è stato molto apprezzato negli Stati Uniti e posso anche aggiungere che, secondo me, dà una soluzione intelligente all’enigma».
Chi era realmente l’editore James Osgood che lei ha reso protagonista del suo Il ladro di libri incompiuti?
«Dickens era frustrato dal fatto che i suoi romanzi fossero stati a lungo piratati in America. Fu per questo che si mise d’accordo con James Osgood e il suo socio J. T. Fields perché diventassero i suoi editori ufficiali per il mercato americano, in modo da avere un maggiore controllo. Osgood e Fields diedero a Dickens un anticipo impressionante per assicurarsi questa esclusiva».
È vero che il diario di Dickens scomparve davvero nel 1867?
«Quando Dickens si trovava a New York, il suo diario sparì. Può darsi che glielo abbiano rubato o che lui lo abbia perso. Ma per molti anni non è stato più rintracciato. Finché nel Ventesimo secolo non è stato messo all’asta. Ora è custodito alla New York Public Library».
Ma lei come riesce a mescolare fiction e suspense, rispettando però la verità storica?
«Storia e finzione sono meravigliosi partner. Solo utilizzando la nostra immaginazione possiamo ricostruire il passato. Proprio perché la storia per noi è un mondo sconosciuto penso che si abbini bene alla suspense, perché non sappiamo mai cosa aspettarci dagli eventi che indaghiamo».
È stato più complicato indagare su Longfellow, Edgar Allan Poe o Charles Dickens?
«Di sicuro su Poe. Non solo perché fu una persona molto misteriosa che aveva pochi amici, ma anche perché morì in miseria e tutti i suoi effetti personali furono sparsi per il mondo. Inoltre Poe ha sempre mentito su se stesso, rendendo difficile comprendere chi fosse realmente.

Anche lavorare su Dickens mi ha creato qualche complicazione: era un uomo molto diverso in pubblico e nel privato e fece di tutto per tenere questi mondi separati fra di loro».
Quale sarà il tema del suo prossimo libro?
«È un segreto. Ma un giorno mi piacerebbe potermi rioccupare di Dante».

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