Dieci morti per una verità capovolta

Nessuno parla di organizzazioni filo Hamas coinvolte nell’assalto, nessuno di provocazione Ma l’associazione turca protagonista dell’azione è sempre stata amica degli jihadisti

L’episodio di ieri notte, con i suoi morti e feriti sulla nave turca, ha qualcosa di diabolico. Perché diabolico è il rovesciamento, la bugia che si sta disegnando nell’opinione pubblica internazionale, come per la battaglia di Jenin, come per la morte di Mohamed Al Dura: la verità, salvo quella tragica e che dispiace assai, dei morti e dei feriti, ne esce capovolta, capovolte le responsabilità. Le condanne volano, e hanno tutte un carattere nominalista: chi era sulle navi si chiama «pacifista» o «civile», i soldati israeliani coloro che ne hanno sanguinosamente interrotto la strada verso una «missione di soccorso». Nessuno parla di organizzazioni filo Hamas, nessuno di provocazione: ed è quello che davvero veniva trasportato da quelle navi. Oltre naturalmente, all’essenza umana di chi ci spiace comunque di veder sparire.

Ma non basta dichiararsi pacifista per esserlo. L’organizzazione turca Ihh, protagonista della vicenda, è sempre stata filo terrorista, attivamente amica degli jihadisti e di Hamas, essa stessa legata ai Fratelli Musulmani, i suoi membri ricercati e arrestati e la sua sede chiusa dai turchi stessi per possesso di armi automatiche, esplosivo, azioni violente. Ma ora poiché era sulla nave Marmara, è diventata «pacifista», come le altre varie Ong molto militanti in viaggio sulle onde del Mediterraneo. Non basta più nemmeno dichiararsi «civile»: nelle guerre odierne, anzi, l’uso dei civili come scudi umani, e anche come guerrieri di prima fila è la novità più difficile in una quantità di scenari. La divisa non separa i buoni dai cattivi: abbiamo visto l’uso delle case e delle moschee come trincee dei «civili» militarizzati; al mare non eravamo abituati, ma è un’invenzione interessante per la jihad. Prima di partire una donna ha dichiarato: «Otterremo uno di due magnifici scopi, o il martirio o Gaza». Ma chi ascolta una dichiarazione così rivelatrice e scomoda quando canta la sirena delle imprese umanitarie? Il capo flottiglia ha dichiarato che il suo scopo era portare aiuti umanitari e non è importato, anzi è garbato alle anime belle dei diritti umani che andasse verso Gaza, striscia dominata da Hamas, organizzazione terroristica che perseguita i cristiani e ha condannato a morte tutti gli ebrei, che usa bambini, oggetti, edifici, tutto, nello scopo di combattere Israele e l’Occidente intero. Ma le navi viaggiavano verso Gaza per aiutarla, incuranti dei missili e degli attentati che ne escono.

Israele aveva più volte offerto agli organizzatori della flotta di ispezionare i beni nel porto di Ashdod, e quindi di recapitarlo ai destinatari. Essi avevano rifiutato, e questa sembra una prova abbastanza buona della loro scarsa vocazione umanitaria, come quando hanno detto che di occuparsi anche di Gilad Shalit, come chiedeva loro suo padre, non gli importava nulla. Un’altra volta.
La flottiglia si era dunque diretta verso Gaza e lo scopo degli israeliani era dunque quello di evitare che un carico sconosciuto si riversasse nella mani di Hamas, organizzazione terrorista, armata. La popolazione di Gaza aveva bisogno di aiuto urgente? Israele afferma che si tratta di scuse: nella settimana dal 2 all’8 maggio, per limitarsi a pochi beni di un lunghissimo elenco, dai valichi di Israele sono passati alla gente di Gaza 1.535.787 litri di gasolio, 91 camion di farina, 76 di frutta e verdura, 39 di latte e formaggio, 33 di carne, 48 di abbigliamento, 30 di zucchero, 7 di medicine, 112 di cibo animale, 26 di prodotti igienici. 370 ammalati sono passati agli ospedali israeliani etc etc... Non era la fame dunque che metteva vento nelle vele delle navi provenienti da Cipro con l’aiuto turco; sin dall’inizio è stata la pressione politica a legittimare Hamas, e la delegittimazione morale di Israele che non colpisce mai i cinesi per la persecuzione degli uiguri, o i turchi per la persecuzione dei curdi... E così l’aspirazione antisraeliana che caratterizzava la Marmara è saltata come un tappo di champagne quando i soldati, nel tentativo di controllare la nave per portarla ad Ashdod, sono scesi con l’elicottero. Alle quattro di mattina, secondo la testimonianza di prima mano di Carmela Menashe, cronista militare che ha scoperto senza pietà molti scandali nell’esercito, quando i soldati della marina hanno tentato di scendere sulla nave Marmara, sono stati accolti da spari, ovvero: «C’erano armi da fuoco sulla nave» dei pacifisti; i soldati che hanno toccato il ponte hanno affrontato un linciaggio «come quello di Ramallah» in cui membra umane furono gettate alla folla: sono state usate con foga enorme, dicono i testi, sbarre di ferro, coltelli, gas... i soldati sono stati buttati nella stiva nel tentativo di rapirli, o in mare. Questo per spiegare perché i loro compagni hanno sparato. Di certo i naviganti non erano militari, erano dunque civili: ma ormai nella guerra asimmetrica i civili sono scudo umano e combattenti. Israele doveva cercare di fermare la Marmara; se l’ha fatto con poca accortezza, non sappiamo.

Ma di certo i soldati non hanno sparato per primi, è proibito dal codice militare israeliano, non è uso di quei soldati. Adesso se il mondo vuole semplicemente bearsi delle solite condanne a Israele faccia, ma proprio con il suo sostegno alle forze che hanno provocato il carnaio dell’alba di domenica prepara la prossima guerra.

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