Cristiano Gatti
nostro inviato a Bergamo
A novembre compirà ottant'anni: almeno metà ne ha spesi per loro, gli italiani all'estero. Per farli contare, per farli votare. E proprio adesso che loro, chiamati finalmente ad esprimersi politicamente, potrebbero tranquillamente esprimere anche un po' di sana gratitudine, nella battaglia delle battaglie, nella madre di tutte le elezioni, proprio in un'occasione simile gli voltano le spalle. Un sadismo del destino: l'amata Italia transoceanica, l'Altra Italia secondo la sua stessa definizione, fornisce all'Unione i pochi senatori che le mancano per essere maggioranza anche a Palazzo Madama.
Mirko Tremaglia, patriarca di An, ministro per gli Italiani nel mondo, non l'immaginava esattamente così, questa prima elezione senza frontiere. La soddisfazione dell'evento, subito espressa alla chiusura delle urne con una frase adeguata - «Quaranta per cento di votanti, successo storico: c'è una grande spinta patriottica in questa partecipazione» -, ecco, diciamo pure che gli si serra in gola al momento di conoscere il colore dei risultati. A quel punto, per un uomo che ha speso otto legislature (è in Parlamento dal '72) dalla parte degli italiani lontani, per un ministro globe-trotter che ha girato in lungo e in largo il pianeta alla ricerca di un'identità dispersa, tutto quanto può assumere il sapore acre della disfatta personale. Qualcosa di più profondo e di più lacerante della semplice sconfitta elettorale.
Non è nemmeno a Roma, nelle ore del dopo-voto. Resta a Bergamo, facendo la spola tra casa e studio. Poca voglia di parlare, pochissima di apparire. D'istinto, lui che è conosciuto come il parlamentare col cuore, riesce inizialmente a liberare solo uno sbocco di sarcasmo: «Mi fa molto piacere che se ne siano accorti tutti, degli italiani all'estero. Televisioni, giornali, politici: adesso che ci sono i guai, si stanno tutti chiedendo come mai...».
In seguito, prova a spiegare. A domanda risponde: secco e contundente, secondo l'antico stile personale.
Ministro, si sente in colpa?
«Non scherziamo. Che c'entro io? I senatori dall'estero sono solo sei...»
Quelli decisivi.
«Purtroppo, la sinistra ne ha presi tanti altri. L'unico problema di questi sei è che nel conteggio sono arrivati per ultimi. Altrimenti nessuno li avrebbe notati».
Che le ha detto Fini?
«Mi ha detto che sono come lui: bravo».
Ma è sconvolto, dal risultato?
«Ho fiutato una brutta aria alla presentazione delle liste. In extremis, Forza Italia e Udc ne hanno presentate di proprie. Così, abbiamo esportato un confronto partitico. La contrapposizione ideologica. Io invece speravo un'altra cosa: gli italiani all'estero, che non hanno più la valigia di cartone in mano, ma sono imprenditori, missionari, scienziati, dovevano votare per i propri interessi specifici...».
Ci sono momenti, soprattutto i momenti delle grandi gioie e delle grandi delusioni, in cui un uomo dalla forti passioni rivede l'intero film delle sue battaglie. Tremaglia ha appena vent'anni, anche se ne ha già passate tante in una guerra di liberazione dalla parte perdente, quando si iscrive al Movimento sociale. È il '46.
Nel '48 è dirigente, nel '54 è in direzione, nel '72 - anno del suo ingresso in Parlamento - diventa responsabile del dipartimento esteri. Da questo momento, il suo sguardo resta perennemente puntato oltreconfine. Ogni occasione è buona, al combattivo avvocato bergamasco, per rilanciare quella che definisce «la battaglia di civiltà del voto agli italiani lontani». Come una missione superiore, come un'ossessione personale. A forza di dare poderose spallate, e anche sonore testate, nel 2000 riesce finalmente a centrare il suo capolavoro: la legge viene approvata con maggioranza extralarge. Stranezze della vita: dopo tanta attesa, la vittoria arriva proprio nel 2000, l'anno in cui perde per implacabile malattia l'amato figlio Marzio, un ragazzo in gambissima, già assessore alla cultura della Regione Lombardia.
È a lui che il vecchio padre dedica il successo politico, ed è sempre a lui che rivolge il primo pensiero quando giura da ministro - 2001 - nelle mani di Ciampi. Ministro per gli italiani nel mondo, ovviamente: mai uomo giusto in un posto così giusto.
Certo, risultati alla mano, queste indomite battaglie per il voto all'estero possono ora manifestarsi in tutt'altro modo, sotto forma di sforzi sprecati. Come un'epopea autolesionista. Può affiorare la penosa sensazione d'aver buttato via una vita. È così, ministro Tremaglia? «Adesso non parlo più da esponente di centrodestra, ma da ministro. E allora le dico che sono felice: ho realizzato un miracolo. Avevo chiesto di andare a votare liberamente, e la gente ha votato. Questo resta nella storia, e tanto mi basta».
Ma si sente tradito? «Gli errori sono nostri. Abbiamo troppo politicizzato il voto all'estero. Doveva restare diverso. Adesso chiederò che questi parlamentari formino un gruppo indipendente dai partiti. Ma so che è dura: i partiti hanno già messo le unghie su di loro...».
L'ultima domanda, la più scomoda per un uomo che tra pochi mesi avrà ottant'anni. La solita: rifarebbe tutto quanto? «Tutto. E continuerò. Questo è solo il primo passo. Abbiamo perso? Ne ho perse tante, io, di elezioni. Ma poi si ricomincia...».
È certo: di Tremaglia e dei suoi italiani all'estero si sentirà parlare ancora. È sconfitto, non vinto. Nessun segnale di crepuscolo. A sorreggerlo, una forza particolare: aver gustato per tutta una vita, con il voto agli italiani lontani, il fascino delle cause giuste. Anche se sono perse.
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