Dio salvi la Regina di ferro che ha negli occhi la Storia

Sessant’anni da regina. E non è finita qui. «Vi servirò finchè vivo», ha promesso lei, la regina Elisabetta, nel suo messaggio in mondovisione. Correva ieri il suo giubileo di diamante, e con quella promessa («un'autentica minaccia» hanno celiato con un pizzico di humour inglese alcuni spiritosi di mestiere sui giornali e in tv) la regina dà a intendere che, con un po’ di pazienza, il record di durata della regina Vittoria (63 anni) sarà allegramente polverizzato.
Un messaggio in mondovisione non è esattamente un modo di dire, se si considera che Elizabeth Alexandra Mary, 85 anni, capo della Chiesa Anglicana e delle Forze Armate, signora del Commonwealth e dell’isola di Man, un «parco sudditi» di 125 milioni di anime, è anche regina di Antigua e Bermuda, Australia, Bahamas, Barbados, Belize, Canada, Grenada, Giamaica, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, giù giù fino alle isole Tuvalu. E siamo sicuri di aver dimenticato qualcosa.
Insieme col principe Filippo, il cortese fantasma che compare al suo fianco in molte fotografie che la ritraggono con uno dei suoi quindicimila cappelli, la regina ha trascorso la giornata di ieri a Sandringham, la reggia invernale dove nella notte fra il 5 e il 6 febbraio 1952 morì nel sonno suo padre, re Giorgio VI. Una buona giornata -a parte la seccatura di dover rispondere alle felicitazioni e agli auguri che le sono piovuti da tutte le parti del mondo, comprese le isole Salomone e Santa Lucia, da aggiungersi all’elenco di cui sopra-. Ma soprattutto la giornata giusta per gettare uno sguardo all’indietro, pescando qua e là dai ricordi, a partire dal giorno in cui lei e Filippo, dopo l’incoronazione, si trasferirono a Buckingham Palace. «Vi ringrazio del meraviglioso sostegno e dell’incoraggiamento che avete dato a me e al principe Filippo in tutti questi anni -ha scritto in un affettuoso messaggio ai suoi sudditi-. E in questo anno speciale, mentre rinnovo il mio impegno al vostro servizio, auspico che tutti ricorderemo il potere del trovarsi insieme e la forza dei valori della famiglia, dell’amicizia e del buon vicinato».
Sessant'anni di ricordi da mettere in fila. Sessant’anni vissuti girando il mondo quasi come papa Giovanni Paolo II, mentre il suo regno, e il resto del pianeta, cambiavano pelle a una velocità che nessuno dei suoi predecessori si sarebbe mai immaginato. Capi di Stato e primi ministri, guerre e terremoti, assassini celebri e atterraggi sulla Luna. E in mezzo, alla rinfusa, mentre il costume cambiava radicalmente, Mary Quant, quella della minigonna e i Beatles, la Thatcher e Tony Blair, la guerra fredda e la disintegrazione della Jugoslavia; e la caduta di nanerottoli che si erano messi in testa di somigliarle, e non erano che modesti figuranti (i Milosevic, i Saddam, i Gheddafi), per non dire di certi re pigmei dell’Africa nera e degli altrettanto invisibili monarchi continentali residui, a partire dal re di Spagna fino a quello di Svezia.
Ci sarà tempo, a giugno, col bel tempo, per celebrare convenientemente una tale ricorrenza. Saranno quattro giorni di baldoria, con oltre un migliaio di imbarcazioni a intasare le acque del Tamigi e un concerto rock che già si prevede memorabile.
E ci sarà tempo, di qui ad allora, per decidere se il trono andrà a suo figlio, l’attempato Carlo, come prevede il regolamento interno; o se sarà meglio lasciare quel benedetto ragazzo ai suoi interessi botanici e alle cure di Camilla Parker, passando il testimone al nipote William e a sua moglie, l’affascinante principessa Kate. Ieri, a qualcuno è venuto in mente che il mese scorso Sua Altezza è stata vista montare a cavallo.

E siccome sua madre è morta a 101 anni, e l’affetto e l’attaccamento dei suoi sudditi sono fuori discussione, molti sono pronti a scommettere che anche il nipote William finirà per meritarsi la qualifica di «attempato».

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