La dirige l’ex portavoce di D’Alema: «Quante canne nel Palazzo...»

Massimiliano Lussana

Rondolino, quando si è fatto l’ultima?
«Se ricordo bene, nello scorso week end».
E la prima?
«Avevo 16-17 anni, ero al liceo. Ma ora non mi faccia passare per un tossicodipendente».
Certo, lei non è quel che si dice un nemico della marijuana. Firma addirittura una nuova rivista, che si chiama Dolce Vita, dedicata dalla prima all’ultima pagina al magico mondo delle canne. Come le è venuto in mente - a lei che è stato portavoce di D’Alema, autore del Grande Fratello, scrittore, editorialista e molto altro - di fare il direttore responsabile di un giornale così?
«La firmo con lo stesso spirito con cui i radicali assicuravano la pubblicazione di Lotta Continua o di altri giornali alla ricerca di un direttore. Un gruppo di amici cercava un giornalista professionista per poter uscire con Dolce Vita e io ci ho messo il nome. Semplice».
Significa che lei non controlla nulla? Non teme di essere usato per avviare il popolo alle canne?
«Nella prima pagina spieghiamo che Dolce Vita non incita al consumo e alla coltivazione della canapa».
Sì, ma nelle pagine successive c’è pieno di pubblicità e di segnalazioni di negozi che hanno tutto il necessario per la coltivazione. Una specie di guida Michelin delle boutique della canna.
«È una rivista che fa informazione culturale, che parla di uno stile di vita».
Uno stile di vita non propriamente consigliabile. Sono in molti ad avere iniziato con una canna e finito con le droghe pesanti.
«Non sono un grande esperto. Però conosco tanta gente che, come me, si fa una canna ogni tanto e non ha mai usato alcuna droga pesante. E conosco persone che si sono rovinate con l’eroina ma fumavano solo sigarette. Nessun rapporto causa-effetto».
Insomma, secondo lei siamo nel paradiso dell’ipocrisia.
«Assolutamente. Occorre iniziare a non parlare più di droga, ma di droghe. Leggerissime (caffeina, teina, nicotina), leggere (cannabis e alcol), pesanti (eroina, per esempio) e artificiali».
Lei è stato anche portavoce di D’Alema. Nel Palazzo si rendono conto di quel che lei sostiene?
«No, lì è il regno dell’ipocrisia su questo argomento».
Pensa a Fini e al suo outing leggerissimo o a Clinton che «fumava senza aspirare»?
«Penso anche alla stragrande maggioranza dei deputati di sinistra che risente del fatto che, negli anni Settanta, quando eravamo ragazzi, la federazione giovanile del Pci era proibizionista. E noi che volevamo provare il fumo, eravamo eretici rispetto alla linea ufficiale del partito e dovevamo andare ad approvvigionarci dai gruppettari dell’extrasinistra».
Secondo lei quanti parlamentari fumano?
«Non mi stupirei se fossero più del 50 per cento».
Una maggioranza più forte di quella di Prodi. Ma perché non lo dicono?
«È più facile fare outing sull’omosessualità che sulle canne. Non so perché, ma si è più imbarazzati a dire che si fuma. Per me sarebbe logico il contrario, ma è così».
Lei, con D’Alema, è stato anche a Palazzo Chigi. Si fuma anche lì?
«No, non ho visto situazioni analoghe a quella dei Beatles quando si fecero una canna a Buckingham Palace».
Ma D’Alema nel ’96-’97 lanciò una sfida antiproibizionista.
«Bocciata da tutti, anche a sinistra».
Lei si è candidato alle ultime elezioni con la Rosa nel pugno. Almeno lì andrà meglio...
«Quando sono stato alle loro assemblee, non ho visto fumate di gruppo. Ma, ripeto, il fumo è una questione di cultura».


Cultura? In che senso?
«Qualche settimana fa sono stato in un coffee shop ad Amsterdam. È entrato un poliziotto in divisa e ho iniziato a tremare. Temevo che mi arrestasse».
L’ha arrestata?
«Ha comprato uno spinello anche lui».

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