Il diritto d’asilo espelle la Bossi-Fini

Livio Caputo

Ormai, non si capisce più perché il governo si preoccupi tanto per l’immigrazione clandestina via Libia: a furia di modificare la Bossi-Fini a colpi di decreti legge o di altri espedienti, ha infatti aperto tante di quelle possibilità agli extracomunitari di entrare e di stabilirsi nel nostro Paese, che chiedere l’aiuto europeo per contrastare l’arrivo dei barconi di «disperati» dall’Africa settentrionale rischia di diventare un esercizio di pura ipocrisia.
Dopo avere allargato a dismisura le maglie dei ricongiungimenti familiari, regolarizzato 400mila clandestini, praticamente sospeso le espulsioni forzate e promesso la cittadinanza dopo soli cinque anni di permanenza, adesso il governo ha approfittato di una legge per il recepimento della normativa europea sul diritto d’asilo per introdurre norme che avranno conseguenze epocali sui flussi migratori. Per fortuna, la legge, approvata giovedì alla Camera, deve ancora passare all’esame del Senato, dove la Casa delle libertà dovrebbe tentare - con il sicuro appoggio dell’opinione pubblica - di emendarla.
Tre sono i punti che dimostrano che la politica dell’immigrazione è stata ormai appaltata all’estrema sinistra e su cui bisognerebbe dare battaglia: la possibilità, per chi chiede asilo politico in Italia e vede la sua domanda respinta da una delle commissioni territoriali, di rimanere nel Paese fino a quando il suo ricorso non sarà stato esaminato e il no sarà diventato definitivo. A prima vista, può sembrare un provvedimento equo, in pratica, significa che chiunque faccia ricorso a questo strumento avrà tempo e possibilità di sistemarsi nel nostro Paese, e se la sua domanda non verrà accolta, di aggregarsi comunque allo sterminato esercito dei clandestini.
Poi c’è la concessione del diritto di chiedere asilo a tutti gli stranieri che ne facciano richiesta, indipendentemente dal Paese di provenienza, cioè non solo dalle dittature o dai Paesi in preda alla guerra civile o a conflitti etnici, ma anche (sic) da quelli della Nato o della Ue. La convenzione di Ginevra prevede che l’asilo politico venga concesso esclusivamente ad personam, cioè a chi dimostra di essere vittima di persecuzioni. La tendenza attuale è di considerare degno di asilo chiunque abbia deciso di lasciare il suo Paese d’origine per ragioni che non siano esclusivamente economiche: raramente, perciò, si dice di no a palestinesi, somali, iracheni, liberiani e quant’altri arrivino da Paesi dove la violenza è di casa e tra cui - tra l’altro - è più facile che si nascondano potenziali terroristi.
IL terzo punto è l’inclusione, nell’elenco degli aventi diritto, degli omosessuali provenienti dai Paesi in cui l’omosessualità è considerata reato. Anche senza prendere per buona la battuta del senatore Calderoli, secondo il quale questo solo articolo ci porterebbe 60 o 70 milioni di candidati all’asilo, è evidente che si tratta di una breccia grande come una casa, che oltre tutto si presta a ogni sorta di sotterfugi. L’assimilazione dell’omosessuale perseguito per una legge del suo Stato al perseguitato politico sembra inoltre una forzatura giuridica degna di miglior causa.
Tutto ciò avviene mentre nel resto dell’Europa si cerca di chiudere le falle: proprio domani la Svizzera è chiamata ad approvare per referendum un «giro di vite» governativo per impedire gli abusi che prevede, tra l’altro, l’obbligo dei richiedenti asilo di presentare entro 48 ore un documento e l’arresto per chi - una volta respinto - si rifiuti di lasciare il Paese.
Al di là del colpo di mano in corso in Parlamento, e che se ratificato indurrà tutti i clandestini a tentare, per prima cosa, la strada della richiesta di asilo, il centrosinistra sembra comunque pronto ad abolire il legame permesso di soggiorno-posto di lavoro che è alla base della Bossi-Fini. Proprio ieri il Corriere della Sera ha lanciato, attraverso un’intervista a Guido Bolaffi, l’idea della abolizione delle quote, da sostituire con una non bene precisata «selezione di mercato».

Ma forse non ce ne sarà neppure bisogno: le porte per cui si può entrare sono ormai tante, che una nuova legge liberal sarebbe solo la ciliegina formale sulla torta.

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