Tra disastro immobiliare e crescita boom all’Est

Negli ultimi tre anni 5,7 miliardi di perdite. Ma ora i conti sono in ripresa

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Angelo Allegri

da Milano

La maledizione dura da sette anni. Immobili, uffici, centri commerciali a Berlino, Dresda, Lipsia, in tutto l’Est del Paese e in mezza Germania: generosamente finanziati negli anni dell’ottimismo post-riunificazione, oggi valgono la metà di un tempo. E Hvb, la banca allora più attiva nel settore immobiliare, ne porta ancora i segni. Nel 2004 ha chiuso il bilancio con una perdita di 2,278 miliardi. Tutti accantonamenti per crediti che non saranno più restituiti. Nell’ultimo triennio le perdite hanno raggiunto i 5,7 miliardi. E lo «sboom» edilizio accompagna Hvb dalla sua nascita. A dare vita all’istituto furono, il primo settembre del 1998, due tra le più tradizionali banche bavaresi, Hypo-Bank e Vereinsbank. Alla fine di ottobre, meno di due mesi dopo, il presidente del nuovo gruppo, Albrecht Schmidt, dovette convocare in fretta e furia una conferenza stampa per annunciare che facendo i conti mancavano dal bilancio 3,5 miliardi di marchi (più o meno 1,7 miliardi di euro). Tanto per cambiare, frutto di crediti immobiliari in sofferenza che non erano stati contabilizzati. Oggi le grandi pulizie sembrano finite. Il primo trimestre del 2005 è andato bene: l’utile netto ha superato i 400 milioni. Merito del numero uno Dieter Rampl, ai vertici di Hvb dal primo gennaio del 2003, e della sua squadra. L’ultima arrivata tra le sette persone che guidano la banca (sono i componenti del Vorstand, il consiglio di direzione) è un’italiana. Si chiama Christine Licci, è nata a Castelrotto, in provincia di Bolzano, ed è uno dei nomi emergenti del mondo creditizio tedesco. La sua carriera (oggi la Licci è responsabile di private banking e clientela retail) è iniziata a Milano: dopo gli studi alla Bocconi fu assunta alla filiale della Dresdner Bank nella penisola.
Se i crediti immobiliari sono il tallone di Achille di Hvb, il suo punto di forza è invece il network internazionale. Nel 2000 la banca di Monaco acquisì il 77,5% di Bank Austria Creditanstalt, primo istituto di credito austriaco con una quota di mercato del 20%. L’istituto con sede a Vienna era a sua volta frutto di una fusione con il Creditanstalt, per la cui privatizzazione erano stati in lizza anche Generali e Mediobanca. Sin dai primi anni 90 le due banche, allora separate, avevano puntato con decisione sui nuovi mercati dell’Est europeo, appena aperti dopo la caduta del muro. Il risultato è che oggi Bank Austria è il primo istituto di credito in tutta l’Europa centrale e orientale, con una presenza significativa in 11 Paesi, dalla Slovenia all’Ucraina. In tutto i clienti di Bank Austria nell’area sono quasi 10 milioni, con oltre 2mila sportelli.
Ovvio l’interesse di Unicredit, che ha puntato con decisione sull’area, facendo shopping in mercati come Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia. Per capire le potenzialità di un matrimonio tra la banca di Alessandro Profumo e quella di Rampl basta pensare alla Polonia, il mercato più grande.

Qui Unicredit schiera in campo Pekao, seconda banca del paese. Bank Austria controlla invece la terza, Bph-Pbk. Una fusione tra le due darebbe vita al leader indiscusso di mercato, per di più nel Paese con le migliori prospettive di crescita della zona.

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