La donna sotto choc: «Sono distrutta» Caccia a un magrebino

«Resterò segnata per tutta la vita». I carabinieri setacciano la zona e cercano d’intercettare il cellulare rubato alla vittima dallo stupratore

È sconvolta, scossa, tremante. Ma decisa a far finire in galera il suo stupratore. Così gli inquirenti descrivono la povera donna violentata da un magrebino mentre si recava al lavoro. La vittima, 40 anni, abita poco distante dal luogo dell’aggressione e ieri all’alba stava andando a prendere il mezzo che l’avrebbe portata all’ospedale dove lavora. In strada l’incontro con il bruto. Le minacce, le violenze ripetute, poi finalmente viene «liberata»: alle 9 si attacca al telefono e lancia l’allarme.
I primi atti sono naturalmente di routine, come la visita alla Mangiagalli. Poi il duro rito dell’interrogatorio. Domande impietose ma necessarie, ripetute per essere certi di avere particolari precisi su cui basare poi le ricerche. La donna si sottopone a fatica, qualche volta dà segni di insofferenza: «Sono distrutta, questa storia segnerà per sempre la mia vita» anche se capisce quanto siano necessarie quelle richieste insistenti. A un certo punto appare quasi in tranche, forse una forma di difesa, per riuscire e rivivere il dramma come fosse capitato a un altra.
Ieri il punto esatto della violenza è stato passato al setaccio dagli uomini della scientifica. Guanti in lattice, provette, buste di plastica, tutto catalogato ed etichettato. Serviranno a incastrare il bruto. Attorno al quale i carabinieri stanno già stringendo il cerchio. Partendo prima di tutto dal luogo dello stupro. Una vasta area dove un tempo sorgeva la stazione di Porta Vittoria. Ogni tanto sorge qualche baracca, subito abbattuta dalle forze dell’ordine nel corso di ripetuti sgomberi.
Ma è difficile «ripulire» completamente l’area, rifugio ideale per clandestini. Il terreno è circondato per lunghi tratti dal vecchio muro di cinta, il resto è chiuso da una recinzione metallica, facile da abbattere. Più che impedire l’accesso, sembra proteggere chi voglia rifugiarsi. Dentro infatti sono evidenti le tracce lasciate da chi vi ha passato molte notti. Il terreno è coperto da indumenti, materassi, sacchetti di plastica, resti di bivacchi. Corroso dal tempo anche quel che resta di uno scooter.
Abbandonata da tempo, l’area è diventata ormai una sorta di giungla dove cresce una fiorente vegetazione, quasi a rendere più facile celarsi dagli sguardi di chi passasse lungo viale Umbria, via Cena, viale Mugello, via Monte Ortigara. Difatti in un angolino, nell’intersezione tra Mugello e Ortigara, resta parcheggiato un vecchio furgone, rifugio notturno da sbandati. Qualche cartone, una tettoia, garantisce un ulteriore minimo riparo.
I carabinieri sono riusciti a individuare qualche «residente» e l’hanno interrogato. C’è la speranza, più che il sospetto, che anche lo stupratore abbia «soggiornato» da queste parti e magari abbia lasciato indizio utile alla sua identificazione. Ma se l’abbiano trovato, i carabinieri lo non vogliono ammettere.

Confermano invece di aver setacciato un po’ tutte le aree frequentate da clandestini, compresa la stazione Centrale. E di aver anche chiamato il cellulare della vittima, rubato dal violentatore: dà sempre «non raggiungibile». Ma la caccia è appena iniziata.

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