Como - Il piccolo Youssef morì dissanguato, Raffaella Castagna e la madre Paola Galli vennero finite a bastonate e poi sgozzate una volta esamini, Valeria Cherubini perse la vita per asfissia, dissanguamento e 8 colpi di spranga al capo. La ricostruzione viene dipinta in aula dal perito dell’accusa Massimo Scola. È l’anatomopatologo che eseguì le autopsie sui corpi delle quattro vittime della strage di Erba. Arriva in aula e racconta l’orrore. Parla con una voce che sembra sicura e invece inciampa. Dice che il piccolo è morto dissanguato per una «profonda ferita alla carotide». Inferta con «la mano destra», dice Scola tra lo stupore dei presenti e dei legali in aula, per poi correggersi. «No, scusate. Con la sinistra». L’assassino è dunque mancino, come Rosa Bazzi. Non è destro, come aveva scritto lo stesso medico nella relazione preliminare anticipata ieri dal Giornale. E non ha agito da solo, aggiunge: un altro aggressore «gli bloccava il volto con la mano destra» e forse contemporaneamente «anche il braccio».
Il medico parla a lungo. Gli chiedono quante armi hanno colpito quella sera. Sono due, secondo l’accusa. «Anche infinite», risponde Scola a una domanda della difesa, «possono essere stati usati più coltelli uguali tra loro». Scola poi spiega perché la prima a cadere sotto i colpi degli aggressori è stata Raffaella. «È stata presa di sorpresa, colpita al capo con un corpo contundente», dice il medico legale, poi una volta a terra «è stata finita e sgozzata con un taglio netto della gola». Stessa sorte è toccata alla madre Paola, «che a differenza della figlia ha cercato di reagire», come dimostrano alcune ferite «tipiche da difesa». E infine il piccolo Youssef. Resta un giallo la morte della Cherubini. Il perito non riesce a chiarire se quelle otto bastonate al capo siano state inferte sulle scale o dentro il suo appartamento, dove è stata trovata inginocchiata con le mani a protezione del capo. Né fuga i dubbi sulle diverse ferite inferte alla schiena e alla coscia. E soprattutto quanto tempo è passato da una prima aggressione sulle scale alla sua morte nell’appartamento. «Non è possibile stabilirlo», risponde.
Prima di lui era intervenuto l’ingegnere dei vigili del fuoco Massimo Bardazza. «L’incendio che ha distrutto l’appartamento di via Diaz - riferisce il perito - è partito da tre focolai diversi: uno nella camera matrimoniale e due nella cameretta del piccolo Youssef. Gli aggressori si sono serviti di «un liquido accendifuoco» che sarebbe stato versato anche sui cadaveri delle due donne morte nell’appartamento.
Molte domande sono rimaste senza risposta, per ora. Tante soprattutto per la difesa di Olindo e Rosa. I legali dei due imputati parlano di «incongruenze tra la ricostruzione del consulente della procura e le presunte dichiarazioni degli imputati».
Dettagli decisivi per i difensori, particolari apparentemente insignificanti per la Corte. Negli occhi dei giudici ci sono quelle immagini terribili, ci sono due presunti colpevoli in cella, ci sono quattro morti che chiedono loro giustizia. E domani si ricomincia.