Dove porta il dossettismo di Prodi

Mario Palmaro
Professore di educazione civica: «Come si chiama l’attuale Presidente del Consiglio italiano?». Studente: «Romano Prodi». Professore di educazione civica: «Bravo, 7+». Bravo un corno, perché basta sfogliare un giornale qualsiasi per scoprire che l’attuale presidente del Consiglio, in realtà, si chiama Romano Dopoprodi. Non si parla d’altro persino sui giornali amici. Dopoprodi di qua, Dopoprodi di là. E lui lì, rinchiuso a Palazzo Chigi a ripetere che si chiama Romano Prodi e basta.
E così si torna al ’98. L’anno in cui Romano Dopoprodi, in omaggio al suo vero cognome, scese di sella e lasciò la guida a D’Alema. Tutti, avversari e alleati, si stanno attrezzando al bis. Errare è umano, ma perseverare è diabolico. E l’onorevole Dopoprodi sta perseverando. Del resto, poveretto, non potrebbe fare altrimenti, è stato programmato così. Da perfetto allievo di don Giuseppe Dossetti è costretto a fare perennemente da mosca cocchiera cattolica ai comunisti in marcia verso il governo.
Il dossettismo, altrimenti conosciuto come cattocomunismo, è quell’illusione altamente pericolosa secondo cui cattolici e comunisti possano governare insieme: basta che i cattolici siano un po' meno cattolici e che i comunisti siano un po' meno comunisti. Peccato che l’esperimento abbia dimostrato che al governo ci possono andare a braccetto dei cattolici molto meno cattolici e dei comunisti perfettamente comunisti. Tanto che, in questa seconda esperienza a Palazzo Chigi, Romano Dopoprodi di partiti comunisti se ne è portati addirittura due.
Il dossettismo è fatto così. Figlio delle sbandate a sinistra del filosofo cattolico Jacques Maritain, si è sempre illuso di poter riportare all’ovile i cugini marxisti di qualsiasi risma, un po' eretici ma tanto buoni. Questi i caposaldi del ragionamento che don Dossetti distillò: 1) I problemi della Chiesa nascono con il Concilio di Trento e la Controriforma. 2) La Chiesa ha sbagliato prediligendo i rapporti con le forze conservatrici. 3) La destra non può mai essere un interlocutore per il mondo cattolico. 4) La democrazia è l’essenza stessa del cristianesimo. 5) L’alleato naturale del cristiano è il comunista data la comune passione per l’uomo. 6) Per realizzare la modernità bisogna tornare alla purezza della Chiesa primitiva.
Il risultato più recente è il disegno di legge sui Dico, messo a punto da Rosy Bindi e Barbara Pollastrini. La quadratura del cerchio dossettiano: una cattolica molto meno cattolica e una comunista perfettamente comunista, anche se proclama di non esserlo più. Qualcuno potrà dire che è un incidente di percorso, che il povero Dopoprodi è costretto a mediare, che quando si è in un’alleanza bisogna accettare i principi degli altri.
Ma, prima di tutto, le alleanze bisogna saperle scegliere. Quanto alla mediazione, è banale rilevare che le parti rinunciano a qualcosa e, se si media sui principi, si può rinunciare solo a quelli. Non è un caso se i cattolici alla Dopoprodi, appena sentono il Papa parlare di «principi non negoziabili», vedono rosso. Ma come la loro missione è quella di negoziare a oltranza perché sono così buoni e miti, nel loro Dna è inscritto il patteggiamento continuo sui valori di ogni tipo, la loro prassi è la trattativa a oltranza su tutto tranne che sulla Costituzione, e il Papa viene a dire che non si può? Ingerenza, ingerenza!
E con questo grido di dolore democratico e antifascista, Dopoprodi è arrivato a fine corsa un’altra volta. Ha realizzato tutti i punti del programma dossettiano e i comunisti sono di nuovo pronti a prendere il potere senza più mollare il timone. Con buona pace di quei cattolici che gli si sono messi a braccetto. Quando vinse le elezioni, praticamente perdendole, Romano Dopoprodi venne definito il Kerensky italiano. Aleksandre Kerensky fu il capo del governo russo che, nel 1917, consegnò il potere nelle mani dei bolscevichi. Da buon progressista, odiava i conservatori più dei rivoluzionari e si era illuso di tenere a bada i comunisti di Lenin e compagni associandoli al potere. Salvò la pelle fuggendo travestito da donna e trovò rifugio nell’odiata America.
Romano Dopoprodi non sarà costretto a tanto. Gli basterà consegnare le dimissioni al Presidente Giorgio Napolitano che le accetterà con tante grazie.

D’altra parte, come può andare a finire un cosiddetto capo del Governo costretto a sperare che le intercettazioni sull’affare Unipol indeboliscano gli alleati per rafforzarsi personalmente? Potrebbe provare a travestirsi da tecnico dei telefoni.

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