da Roma
Riduzione del debito, controllo delle spesa pubblica ed equilibrio del sistema previdenziale da una parte, «tesoretto» da destinare alla spesa corrente, riduzione delletà pensionabile e utilizzo delle riserve di Bankitalia dallaltro. Tra il governo e la Banca ditalia i rapporti non sono mai stati peggiori. A scontrarsi due personaggi provenienti dalla stessa scuola: lattuale ministro del Tesoro Tommaso Padoa-Schioppa, tecnico dellesecutivo di centrosinistra con le radici a palazzo Koch, e Mario Draghi. Il nuovo governatore di via Nazionale che negli ultimi giorni ha lasciato filtrare la sua netta contrarietà allutilizzo delle riserve per la riduzione del debito pubblico.
Ma le prime esplicite divergenze tra i due protagonisti della politica economica italiana sono precedenti al caso «oro della patria», che ha provocato anche lintervento della Banca centrale europea e dellUe. Risalgono a un mese fa, per la precisione allaudizione di Draghi sul Documento di programmazione economica e finanziaria.
Un momento delicato per il governo, alle prese con la distribuzione di un extragettito, sul quale si erano concentrati gli appetiti di tutti i partiti della maggioranza, e con una riforma della riforma previdenziale varata dal centrodestra, nonostante la contrarietà delle autorità Europee. Da Draghi non venne nessun aiuto al governo Prodi.
Il tesoretto? Un termine «fuorviante». Perché «con il nostro debito pubblico, un disavanzo strutturale del 3 per cento, oneri significativi derivanti dallandamento demografico, non esistono tesoretti da spendere». Uova rotte nel paniere di Padoa-Schioppa con argomentazioni che lo stesso Tps, prima di diventare ministro, avrebbe sottoscritto. «Un euro non si può spendere due volte quando esce dalle tasche», fu la replica del responsabile di via XX Settembre. Un modo di dire che le ragioni della politica spesso cozzano con quelle del buon governo. Ma Draghi richiamò la politica anche al rispetto della sostenibilità del sistema pensionistico che, insieme alla riduzione del debito pubblico, deve essere «il primo investimento dello stato a favore dei giovani». E condì il tutto con un giudizio negativo sulle politiche di bilancio italiane così come sono state descritte nel Dpef: poco ambiziose. Linee divergenti anche sulla pressione fiscale che secondo Bankitalia deve diminuire.
Poi la risoluzione di maggioranza che accompagna il Dpef e che contiene anche quel riferimento allutilizzo delle riserve della stessa Banca dItalia. Una misura che allinizio non ha provocato nessuna reazione, né ufficiosa né ufficiale da parte di via Nazionale. Anche perché era difficile stabilire la paternità dellidea. Luscita del presidente del Consiglio Prodi ha cambiato le cose.
In gioco cè la difesa dellindipendenza di Bankitalia. Le riserve in valuta e oro che sono rimaste a Palazzo Koch anche ora che il controllo della politica monetaria è passato a Bruxelles e servono per eventuali operazioni di mercato a sostegno delleuro, decise dalla Bce. Alle banche centrali nazionali resta il compito di utilizzarle per operazioni di prestito di ultima istanza a banche in crisi di liquidità. Ipotesi che in questo momento in Italia può sembrare remota, ma che gli addetti al settore non possono escludere vista la crisi Usa dei mutui subprime e gli scricchioli di alcuni istituti europei. Ieri indiscrezioni di stampa parlavano già di un dossier in mano a Draghi, con i risultati di una simulazione per lemergenza che si creerebbe in Italia per la crisi un colosso europeo del credito.
Ma nella contrarietà di Bankitalia conta anche lidea - esposta proprio da Draghi nellaudizione sul Dpef - che il risanamento dei conti e labbattimento del debito è un obiettivo da raggiungere con tagli alle spese. Non con espedienti, come la vendita delloro.