Laura Cesaretti
da Roma
Il cammino di Romano Prodi verso la costituzione del suo governo, che lui vorrebbe pronto a fine aprile nella residua speranza di ottenere il mandato da Ciampi prima del voto per il Quirinale, è ancora fermo alla prima boa: la presidenza della Camera.
Piero Fassino è andato ieri a Santi Apostoli a porre il problema al premier in pectore: «Il principale partito della coalizione non può essere tagliato fuori da tutti i vertici istituzionali». Eppure, è proprio ciò che rischia di accadere: «Il braccio di ferro è durissimo», rivela un dirigente della Quercia, «e allo stato è più probabile che a vincerlo sia Fausto Bertinotti». Fassino, che rivendicava la poltrona per Massimo DAlema, si è infatti sentito spiegare che il leader di Rifondazione non ha lasciato margini di trattativa: «O faccio il presidente della Camera o resterò solo segretario del mio partito», eventualità che Prodi vuole evitare. Naturalmente il Professore non ha apertamente difeso la «pretesa» di Bertinotti, e ha riconosciuto le buone ragioni dei Ds, ma ha sottolineato il rischio di scontentare Rifondazione: «Si creerebbe un grosso problema di instabilità nel centrosinistra». Risultato: i ds sono infuriati con Prodi, e subito dopo il vertice a Santi Apostoli hanno iniziato a tambureggiare con tutte le batterie a disposizione per rivendicare lo scranno di Montecitorio: «I Ds non sono favorevoli a soluzioni che li escludano dalla presidenza delle Camere», ha scandito Fassino in tv ieri sera, offrendo in cambio a Bertinotti più ministeri. E DAlema è infuriato anche con Fassino, che secondo i fedelissimi del presidente della Quercia «non ha posto a tempo debito il problema, e ha lasciato che i ds venissero infilati in un braccio di ferro dal quale il partito rischia di uscire con le ossa rotte». A irritare ulteriormente DAlema sono i boatos usciti da vari ambienti dellUnione (e attribuiti agli stessi Prodi e Bertinotti) secondo cui lui, rinunciando a Montecitorio, potrebbe ottenere linvestitura per il Colle. «È impensabile - insorge il dalemiano Latorre - che il Quirinale entri in un mercato delle poltrone interno al centrosinistra, tanto più che su questo tema ci deve essere un confronto con il centrodestra». Il che non vuol dire che DAlema non si senta ancora in corsa: ma certo non vuol farsi bruciare dal marchio di «candidato di Bertinotti», né rinunciare alluovo-Montecitorio di oggi per la gallina-Quirinale di domani. Tanto più se torna in campo, come molti pensano nellUnione, la variabile «Ciampi bis».
Ad agitare ulteriormente le acque ci si è messa unindiscrezione del Tg5 secondo cui Rutelli, nel colloquio avuto ieri con Prodi, avrebbe dato via libera a Bertinotti, col risultato che i ds rivendicherebbero la presidenza del Senato. «Mi pare senza fondamento», cade dalle nuvole Franco Marini, candidato a Palazzo Madama. I rutelliani smentiscono seccamente e ribadiscono: «Noi sosteniamo DAlema per la Camera, e lUnione è compatta su Marini», la cui candidatura anche secondo ambienti ds allo stato «è lunica certezza, né potremmo permetterci rappresaglie facendogli mancare voti, perché a quel punto salterebbe tutto», a cominciare dal governo Prodi. Nel vertice di ieri, sia Fassino che Rutelli avrebbero chiesto un «rafforzamento» della squadra di Palazzo Chigi, facendo i nomi di Chiti e Treu come sottosegretari alla presidenza del Consiglio, per affiancare, e qualcuno insinua «commissariare», il fedelissimo che Prodi sceglierà (si fanno i nomi di Parisi, Levi o Sircana). Quanto al destino dei segretari di Ds e Dl, è ancora incerto: secondo alcuni, Prodi li vorrebbe ministri e non solo vicepremier senza deleghe, per rafforzare il suo governo. Ma i due vogliono mantenere il controllo dei rispettivi partiti. «Decideremo insieme», dice Rutelli, che però sarebbe sempre più tentato di restare fuori dallesecutivo, e vorrebbe convincere Fassino a fare la stessa scelta, perché «il rischio che la sua segreteria venga messa in discussione, tanto più se DAlema esce sconfitto, è assai serio», dicono in casa Dl.
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