Non può mai stare tranquillo Franco Bernabé. Fino a poche settimane fa era in guerra di trincea con alcuni suoi azionisti che volevano fargli lasciare la poltrona di amministratore delegato di Telecom Italia. Ora il pericolo è superato (o per lo meno così pare), e su quel fronte è tornata la calma. Si profilano, però, nuovi problemi allorizzonte.
Il primo lo ha sollevato mercoledì Marco Fossati rilasciando dichiarazioni decisamente ostili nei confronti di Telefonica, il colosso spagnolo che, attraverso la finanziaria Telco, è il più importante singolo azionista di Telecom. Fossati, con la sua holding di famiglia Findim, controlla a sua volta una quota importante della società guidata da Bernabé, il 5 per cento. Telefonica - ha detto in sostanza - deve uscire dal capitale di Telecom Italia perché è in conflitto di interessi e impedisce allazienda italiana di avere delle strategie di business e di crescita autonome.
La posizione di Fossati (che ribalta quella tenuta fino a poco tempo fa, quando era un sostenitore della fusione tra i due big delle telecomunicazioni) è condivisa da molti, dentro e fuori lazienda. Avere Telefonica come azionista si sta infatti rivelando un handicap per il gruppo italiano: non può fare accordi con altri grandi player europei; non può espandersi in Paesi in forte crescita economica perché sul posto trova già il suo ingombrante partner spagnolo e lAntitrust locale solleva obiezioni. È quanto è successo in Argentina: a causa della presenza di Telefonica in Telco, le autorità di Buenos Aires hanno imposto a Bernabé di uscire da Telecom Argentina, secondo gruppo di tlc del Paese alle spalle del numero uno, appunto Telefonica.
Dunque accompagnare alla porta gli azionisti iberici, come dice Fossati, sarebbe assai utile. Ma non altrettanto semplice. La Telefonica di César Alierta è entrata in Telecom pagando il titolo 2,6 euro. Ha già effettuato (assieme agli altri di Telco) una svalutazione a 2,2. Ora lazione non arriva a un euro. Per uscire Alierta dovrebbe incassare una minusvalenza storica. E perché mai dovrebbe farlo? Oltretutto lisolamento in cui è finita Telecom Italia, se rappresenta una criticità per Bernabé, per lui è un vantaggio: si è tolto di torno un concorrente dai mercati internazionali. A lui le cose stanno bene così. Per il momento. In futuro si vedrà.
Un altro fronte problematico si è aperto in questi giorni. Di nuovo a opera di un gruppo di telecomunicazioni europeo, questa volta Swisscom, che in Italia controlla Fastweb, lazienda fondata da Silvio Scaglia finita nel ciclone giudiziario delle false fatturazioni. Un caso che ha costretto lamministratore delegato, Stefano Parisi, a lasciare la sua poltrona, sostituito dallo stesso numero uno della casamadre Swisscom, Carsten Schloter, venuto a sistemare le cose in Italia (pur mantenendo il suo incarico svizzero)
Schloter ha fatto sapere, durante un convegno sulle tlc organizzato nella Confederazione, di voler dare unaccelerazione alla realizzazione di una rete di nuova generazione in Italia. Si tratta di un progetto, annunciato qualche settimana fa, che vede uniti Fastweb, Vodafone, Wind. Insomma tutti i concorrenti di Telecom Italia che si sono detti pronti a investire fino a 2,5 miliardi di euro.
Perché questo dovrebbe preoccupare Bernabé? Soprattutto per quello che non viene detto. In questi giorni lAuthority per le telecomunicazioni sta esaminando un dossier molto importante per le finanze di Telecom Italia. Si tratta della revisione delle tariffe dellunbundling, in poche parole il canone che i vari gestori concorrenti le pagano per utilizzare lultimo miglio della sua rete, quello che arriva nelle case, negli uffici degli utenti. Questo è oggi di 8,49 euro al mese e dovrebbe salire gradualmente nei prossimi due anni fino ad arrivare a 9,67 euro nel 2012, avvicinandosi così alla media europea.
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