Dylan si butta sulla pubblicità e gira uno spot per la Cadillac

Il poeta, con Ray Ban e cappello da cowboy, promuove un Suv

«Cos’è la vita senza una deviazione?», recita l’uomo a bordo della Cadillac, cappello da cowboy, occhi celati dai Ray Ban, mentre in sottofondo partono le note di Summer Days. Bob Dylan ci casca ancora... nel mondo dorato della pubblicità intendiamo dire. «I tempi stanno cambiando», inneggiava un tempo, e sono cambiati alla velocità della luce se Mr Dylan si mette al servizio delle multinazionali. Ieri ha debuttato sulle tv americane - sullo sfondo della californiana Antelope Valley - nello spot della Escalade 2008, fiore all’occhiello tra i suv della Cadillac, mettendoci la faccia, la musica e non solo. Visto che pubblicità chiama pubblicità e che lui si balocca a fare il dj, lo spot fa riferimento alla radio satellitare XM - dove il poeta tiene una rubrica musicale - che viene montata come accessorio sulla vettura. Peggio aveva fatto nel 2002, apparendo nello spot della linea di intimo Victorias Secret mentre una pin up faceva mostra della sua lingerie, e non contento aveva inciso un’antologia con i suoi successi a uso e consumo della casa di moda stessa.
Non c’è da scandalizzarsi; lo fanno tutti, pensate cos’era costretto a fare il supertrasgressivo Elvis. Ma Dylan no; lui tuonava contro il r’n’r dei suoi tempi, imbellettato dalle case discografiche e colpevole di essersi rivoltato contro il suo spirito originale. Cantava il folk perché veniva dal popolo. È vero, partecipò alla storica Marcia della Pace del ’62 a Washington con Martin Luther King, ma lo fece perché tirato per la giacchetta da Joan Baez. Cantò Blowin’ In the Wind, Only a Pawn In Their Game dedicata al martire nero Medgar Evers e lo spiritual Hold On con Len Chandler. Brani impegnati che il New York Times non capì scrivendo: «Il giovane ha eseguito lugubri canti di montagna... Burt Lancaster, Harry Belafonte e Charlton Heston, visto che si andava per le lunghe, si sono alzati per sgranchirsi le gambe».

D’accordo erano «altri tempi» (frase ricorrente), quelli degli abiti sdruciti, quelli in cui guardava il pubblico con occhio perso e rabbioso («perché suonava senza occhiali e non vedeva, ma la gente non lo sapeva e l’effetto era magnetico» ricorda il folksinger Theodore Bikel). Insomma ci permettiamo per una volta di scherzare su un grande poeta, su un’icona che con i suoi (sacri) testi, ha cambiato la vita a più di una generazione dimenticandosi spesso di guardare la sua.

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