di Eleonora Barbieri
Ne hai contati 57, poi hai smesso. Anche perché era soltanto la prima scatola. Poi ne hai un'altra, non altrettanto piena, perché una sola non bastava. In casa non manca niente, ma soprattutto loro: i bottoni di ricambio. Piccoli accessori tanto necessari quanto inutili. Cioè: necessari per l'estetica, il decoro, la tenuta del vestito o della camicia o del pantalone, la giacca, il gubbino, etc.; inutili, in quanto «di ricambio» e, perciò, destinati a rimanere, appunto, inutilizzati. Parcheggiati nella scatola per sempre. Non da soli: insieme al centinaio di altri bottoni di ricambio che hai collezionato nel corso degli anni e degli acquisti, e che non sei mai riuscita a buttare. Sforzandoti, pensi di ricordare una volta - una sola - in cui hai portato a termine l'impresa eroica e ne hai eliminato uno, così, senza passare nemmeno dalla scatola del peccato, gettandolo direttamente nella pattumiera (bidone del misto). Però non ne sei troppo sicura: forse hai solo tentato di buttarlo, senza riuscirci. Perché bisogna anche essere onesti: perché tutti gli altri sì e solamente lui no, unico escluso?
Il bottone è il trionfo dell'accumulo, quella sindrome così ben analizzata, triturata ed esorcizzata in maniera inflessibile da Marie Kondo, nel Magico potere del riordino. Nel suo manuale bestseller in tutto il mondo (in Italia è pubblicato da Vallardi), la regina delle case perfette non tollera i bottoni di ricambio: sono tutti, senza eccezione né poco democratiche ingiustizie, da buttare. Senza tentennare come hai fatto tu, che del riordino non sei neanche lontanamente sostenitrice (benché in qualche modo ammiratrice, così come si ammirano gli opposti, coloro che riescono a vivere bene, per dire, senza bottoni di ricambio, e senza sensi di colpa per averli buttati). Ora, la Kondo è un po' Rottermeier, ma bisogna ammettere che i bottoni di ricambio pongono dei problemi. Primo: non si riescono mai ad attaccare, per un motivo o per l'altro. Può essere che siano troppo difficili da cucire, può essere che tu perda il bottone proprio quando sei lontano da casa (e l'avevi conservato per tutto quel tempo, il ricambio...) oppure che, vedi la coincidenza, tu abbia perso proprio l'unico di cui non avessi la scorta. Secondo problema: si accumulano, inesorabilmente, anche in conseguenza del mancato utilizzo di cui al punto primo.
Terzo quesito: perché, alla fin fine, i produttori di abiti continuano a fornirli? Arrivano sempre, puntuali, appesi al capo nuovo e felice, eppure già subito accompagnato da quel marchio di imperfezione sua (eventuale) e tua, della tua anima insaziabilmente accumulatrice e incapace di separarsi perfino da un bottone di ricambio inutile e fastidioso.Tutto vero. Però lo devi dire, a Marie Kondo e a tutti quelli che scartano i bottoni senza pietà: tu, quell'unico che volevi buttare, l'hai salvato. No, attaccato no... sarebbe quasi parso un tradimento.
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