Il conflitto tra scienza e potere, tra etica e ricerca, va in scena da stasera all'11 novembre al Piccolo Teatro Strehler: Franco Branciaroli sarà infatti Galileo in «Vita di Galileo». Lo spettacolo, che ha debuttato lo scorso marzo a Roma, è ricchissimo di spunti di riflessione per l'uomo contemporaneo, spunti su cui il Teatro stabile del Friuli-Venezia Giulia e il Teatro de «Gli Incamminati» hanno puntato nella messinscena dell'opera, affidata alla regia di Antonio Calenda.
La scelta è quella di inquadrare l'azione brechtiana in una scena commovente in cui è resa visibile la piccolezza dell'uomo proporzionata all'immensità dei cosmo, esito della grande rivoluzione copernicana: per dire in questo modo quanto l'uomo di oggi sia conseguenza della scissura interiore iniziata con Galileo.
Composto fra il 1938 e il 1943 da Bertolt Brecht, il dramma fu rielaborato in almeno tre distinte riprese e costituì sempre un culmine nella produzione brechtiana: una sorta di «testamento spirituale». Un capolavoro nei cui inquietanti chiaroscuri si possono intuire le vie per comprendere veramente il XX secolo e i suoi conflitti, ovvero le ombre del nostro presente, come già sottolineò nel 1963 Giorgio Strehler nel suo allestimento.
La storia percorre la parabola del grande scienziato pisano dal tempo dell'insegnamento a Padova agli ultimi anni vissuti forzatamente in «ritiro» a Firenze, sotto la sorveglianza della Santa inquisizione.
La rivelazione più clamorosa riguarda il modello copernicano: non è Galileo ad intuirlo per primo, ma per primo riesce a dimostrarlo scientificamente, grazie proprio all'uso di quel telescopio di cui si era impropriamente attribuito l'invenzione.
Lo scienziato decide per la salvezza, anche se Brecht, pur condannandola, ci fa intuire che in questa scelta c'è comunque un perseguire anche la salvezza delle proprie scoperte.
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